giovedì 31 maggio 2018

Su Marco Pietro e la tradizione cristiana nel I secolo

Il frammento di papiro detto 7Q5 e ritrovato a Qumran 
potrebbe essere, stando ad alcune interpretazioni,
il più antico frammento del Vangelo secondo Marco,
essendo non posteriore al 62, ma l'identificazione è discussa.
Il vangelo di Marco come abbiamo visto è un vangelo silenzioso essenziale nella storia è sempre rimasto indietro rispetto ai monumentali Matteo e Luca. Marco sembra voler rappresentare se stesso anche in questo nonostante la storia incredibile che narra e che ha in gran parte ascoltato con avidità da qualcuno che invece i fatti li aveva vissuti molto più di lui. Gli studi ci dicono che Marco abbia raccolto la testimonianza diretta di un apostolo importante. Abbiamo poche notizie di Marco da giovane compare nella bibbia la prima volta in 

Atti 12:12
"Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera"

Sappiamo che, come Paolo, aveva il doppio nome e che accoglieva in casa della madre Maria una prima congregazione Cristiana. Pietro era stato appena liberato miracolosamente dalle prigioni. Conclude la sua prima lettera con queste parole

1 Pietro 5:13
"13 Colei che è a Babilonia, eletta come voi, vi manda i suoi saluti, e anche Marco, mio figlio. 14 Salutatevi gli uni gli altri con un bacio fraterno. Pace a tutti voi che siete uniti a Cristo"

Interlineare greco:
3    782  [e]
13    Aspazetai
13    Ἀσπάζεται 
13    saluta 
13    V-PIM / P-3S
4771  [e] 
hymas
ὑμᾶς 
si 
PPro-A2P
3588  [e] 

ἡ 
lei 
Art-NFS
1722  [e] 
en
ἐν 
in 
Prep
897  [e] 
Babylōni
Βαβυλῶνι   , 
Babylon 
N-DFS
4899  [e] 
syneklektē
συνεκλεκτὴ   ; 
eletto con [tu] 
Adj-NFS
2532  [e] 
kai
καὶ 

Conj
3138  [e] 
Markos
Μάρκος   , 
Marco
N-NMS
3588  [e] 
ho
ὁ 
l' 
Art-NMS
5207  [e] 
huios
υἱός 
figlio 
N-NMS


1473  [e] 
mou
μου   . 
di me 
PPro-G1S




Questo versetto è probabilmente fra i più contestati di tutta la bibbia dagli esegeti. Da questo verso sono nate desinenze cristiane come la chiesa Copta che sostiene che si riferisse ad una Babilonia Egiziana. Pietro parla di saluti di una sconosciuta? Sua moglie? Da un posto identificato con Babilonia. Era la vera Babilonia? O era qualcosa altro? Poi cita Marco identificandolo come suo figlio. Era davvero suo figlio? Perchè questo versetto è contestato? Per la chiesa cattolica esso assieme alla scrittura di Matteo 16:18 viene utilizzato per sostenere il primato di Pietro come vescovo di Roma. Le pubblicazioni dell'organizzazione hanno dedicato da sempre molto spazio a questo versetto. 


GRM Inv. J-3179.jpgW58 15/9 Hanno gli apostoli dei succesori?

Una prova della debolezza della pretesa che Pietro sia stato a Roma è l’asserzione che la Babilonia indicata in 1 Pietro 5:13 sia Roma. È vero che molti storici religiosi affermano che Pietro andò a Roma, ma quale ne è la prova? Soltanto la tradizione. Per questo la Catholic Encyclopedia ammette che, in un periodo di cento anni successivo ai giorni in cui visse Pietro, abbiano potuto formarsi delle leggende sul fatto che Pietro sia stato a Roma. Essa tenta di colmare questa lacuna citando certe espressioni; da queste però si potrebbe dedurre che Pietro andò a Roma soltanto se vi fossero altre prove che lo dimostrassero...


Più che altro la WT attacca il dogma cattolico che identifica Pietro abbia vissuto a Roma come capo della chiesa capitolina e morto martire durante il regno Neroniano. 

Chi ci dice che Pietro era il mentore del giovane Marco? Un antico vescovo un certo Papia di Gerapoli (70 130) che possiamo definire uno dei primi anziani delle congregazioni cristiane. La testimonianza di Papia la conosciamo attraverso Eusebio di Cesarea (265 340) che in un passo ci fa sapere

"Marco, interprete di Pietro, riferì con precisione, ma disordinatamente, quanto ricordava dei detti e delle azioni compiute dal Signore. Non lo aveva infatti ascoltato di persona, e non era stato suo discepolo, ma, come ho detto, di Pietro; questi insegnava secondo le necessità, senza fare ordine nei detti del Signore. In nulla sbagliò perciò Marco nel riportarne alcuni come li ricordava. Di una sola cosa infatti si preoccupava, di non tralasciare alcunché di ciò che aveva ascoltato e di non riferire nulla di falso,"

(Papia, citato in Eusebio, Storia ecclesiastica, libro III, capitolo 39,15, Vol. I, p. 191)

Chi ci dice che Pietro era a Roma? Sempre Papia, sempre citato da Eusebio che riferendosi a lui dice:

Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).

Eusebio con la premessa "si pensa" non aiuta molto nella ricerca della verità. Nella questione del primato Pietrino a noi piacciono le cose semplici, daremo il nostro contributo a questa considerazione sostenendo che il versetto parla esplicitamente di Babilonia e non implicitamente di Roma. Non vediamo motivi per credere che Pietro intendesse altri luoghi occulti e non evidenti. 

Ma riprendiamo il discorso con il vangelo di Marco e vediamo alcuni altri aspetti interessanti che invece ci fanno pensare che Marco con il suo vangelo si rivolgesse ad un pubblico gentile dell'ambiente Romano.

Il vangelo stesso ci svela questo da piccoli dettagli che presi singolarmente significano poco ma nell'insieme diventano indizi più significativi. Il vangelo di Marco nonostante fosse stato scritto in greco a differenza degli altri vangeli sono presenti molti termini spiccatamente romani come kenturion (15:39), kodrantes (12:42), xestes (7:4), spekoulator (6:27). Oppure ad esempio non cita dettagli inutili ai lettori che non conoscono la cultura giudaica (tipo la «frangia» del mantello: Mc 5,27; cf. Mt 9,20; Lc 8,44), oppure inserisce spiegazioni dettagliate sul senso dei riti.
Tutte queste peculiarità del testo portano a supporre che sia stato scritto facendo riferimento ad un particolare pubblico quello romano. Ecco qui in effetti si ripresenta il connubio che lega insieme la figura di Pietro con Marco e la citta di Roma. 

Dietro al vangelo di Marco c'è uno scontro filosofico che solo in apparenza sembra si sia risolto negli ultimi secoli. Marco pare che abbia raccolto in se molti degli elementi storici che poi saranno utilizzati dai ben più famosi vangeli di Matteo e Luca. 

C'è un'idea condivisa da molti studiosi che nella stesura di questi Vangeli essi abbiano trovato spunto da fonti comuni. Una di queste fonti pare che sia proprio quella di Marco. (Confrontate le scritture di Matteo 8:2,3 Marco 1:40,42 Luca 5:12,13) Possiamo presupporre che gli apostoli abbiano influenzato direttamente lo sviluppo di quelle prime congregazioni cristiane. Anche se sappiamo anche che non tutti avevano dimostrato di aver chiaro il vero significato del messaggio che Gesù Cristo aveva demandato. Sappiamo inoltre che c'erano correnti apocrife molto agguerrite che aggredirono il pensiero cristiano mischiandolo con filosofie apostate. Vedi le eresie gnostiche donatiste etc etc.

All'inizio l'integrità del pensiero all'inizio veniva garantita dalla presenza fisica dei testimoni di quel meraviglioso racconto. Essi potevano infatti dare prova delle cose che viste e udite. Ma con la morte degli apostoli la tradizione orale non poteva garantire che il messaggio rimanesse integro. Così si utilizzò lo strumento della scrittura per permettere alle generazioni future di poter attingere direttamente dai racconti degli apostolo. Ma non c'erano case editrici così il messaggio poteva essere tramandato grazie al contributo di tanti amanuensi che tramandavano il messaggio.

Ma tornando un pochino indietro nel tempo ci sembra ragionevole considerare che comunque ciascun apostolo abbia in qualche modo personalizzato il racconto. Ci pare ragionevole che questa personalizzazione abbia creato quelle differenze che poi riconosciamo nella stesura dei vangeli. Riteniamo plausibile che Gesù non abbia scelto i suoi apostoli leggendone il curriculum e ci sembra altrettanto plausibile che fossero sostanzialmente analfabeti.

A quel tempo le persone erano organizzate in modo che le vicende importanti della vita potessero comunque essere tramandate senza un testo scritto attraverso una consolidata tradizione orale. La storia di Gesù era così forte, densa di significato e speranza che sicuramente esplose nell'immaginario di quelle persone tanto da creare tradizioni orali apostoliche come quella Giovannea o quella Marciana. A prova di questo fatto ricordiamo lo stesso apostolo Paolo riconobbe la pericolosità della tradizione orale e della tendenza a personificare la verità a chi l'aveva pronunciata.

1 Corinti 1:12
"12 Parlo del fatto che dite: “Io seguo Paolo”, “Io invece Apòllo”, “Io Cefa”, “E io Cristo”. 13 Cristo è forse diviso? Paolo è stato forse messo al palo per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?"

Quei primi cristiani dovevano al più presto raccogliere tutte le testimonianze orali e scriverle in modo che esse potessero resistere alla prova delle tradizioni che anche non volutamente potevano corrompere il messaggio di Gesù. Marco fu così probabilmente quello che prima di tutti comprese l'importanza della scrittura e come essa avrebbe potuto davvero ripetere le parole di Gesù all'infinito per tutti i lettori che avrebbero voluto che divenisse la guida. Marco involontariamente fu il precursone di questa gigantesca rivoluzione intellettuale umana che poi prese nome con il cristianesimo.



referenze web

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/allegati/38579/Lezione-II-MARCO-word.pdf
https://en.wikipedia.org/wiki/Synoptic_Gospels
https://en.wikipedia.org/wiki/Q_source
http://www.tuttostoria.net/storia-antica.aspx?code=1127
https://it.wikipedia.org/wiki/Papia_di_Ierapoli
http://www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=42&page=5
http://www.chiesacristiana.info/studi/roma/ro-testi.htm



La Betel risponde

La fratellanza ci segnala un video interessante di una mini inchiesta della televisione finlandese vengono intervistati una ragazza molestata e poi quello che sembra il rappresentante del CDF locale.
Se qualcuno volesse tradurre la conversazione a beneficio di chi non conosce l’inglese lo ringraziamo da adesso.




mercoledì 30 maggio 2018

La gioia, un frutto dello spirito

Un altro interessante filmato da parte di Brux Cavey, pastore di Meeting House.
Credo che possiamo imparare molto da questo discorso basato su uno dei frutti dello spirito.
Buona visione...


https://youtu.be/BbC739hw47M

lunedì 28 maggio 2018

Direttiva della privacy sentenza europea

Risultati immagini per note service Jehovah witnessRiguardo alla privacy c'è stato un ricorso alla corte europea richiesto dalla WT per acconsentire l'utilizzo delle note di casa in casa emesso a Febbraio di quest'anno che evidentemente è passato in sordina. Il ricorso è stato bocciato e il giudice non ha dato luogo a procedere.

http://www.dw.com/en/jehovahs-witness-note-taking-challenged-at-eus-top-court/a-42408206

Ricorso che ha fatto seguito ad una sentenza emessa dal governo Finlandese che evidentemente metteva in discussione l'uso indiscriminato delle note di casa in casa.

Traduco i punti più importanti

Immagine correlataL'avvocato generale lussemburghese Paolo Mengozzi ha respinto giovedì una causa intentata dal movimento dei Testimoni di Geova affermando che gli appunti ( le note di casa in casa) dei suoi membri sono raccolti solo individualmente e non violano la direttiva sulla privacy dell'UE .
Invece, il rapporto dell'avvocato generale, le cui conclusioni spesso hanno peso nella Corte di giustizia europea, ha concluso che i Testimoni di Geova (JW) sono organizzati centralmente e  le persone visitate dal gruppo devono dare il permesso per prendere appunti.

Nelle immagini ci sono le immagini delle vecchie note di casa in casa. Note che ricordiamo non sono più redatte dall'organizzazione.




Privacy nelle congregazioni

Con la scadenza del 25 Maggio in molte congregazioni si sono avute reazioni strane da parte degli anziani.
Alcuni stanno facendo pressioni su chi non ha firmato, in barba allo spirito di tutela della direttiva europea sulla privacy.
C'è chi minaccia la perdita di "privilegi", chi fa sentire "ribelle" coloro che in coscienza non si sentono di dare un consenso a dir poco assurdo.

In effetti non ci sono linee standard, gli anziani stessi mostrano di non sapere come muoversi al riguardo e spesso non sanno nemmeno loro cosa stanno facendo.

Personalmente ho fatto notare le mie perplessità su due punti:
-Autorizzare affinché i dati siano esportati in paesi con direttive differenti.
-Autorizzare future modifiche in bianco.

Per il momento non ho subito pressioni.

Quali reazioni avete riscontrato?
Avete dati delle vs congregazioni di quanti non hanno firmato?

domenica 27 maggio 2018

La potenza del Cristo

Risultati immagini per cristo potenteIl racconto prosegue nel capitolo cinque, calmata la tempesta giungono all'altra riva del mare, nel paese dei geraseni. Si trovano adesso nella decapoli, in una zona abitata da popoli gentili, infatti vedremo più avanti un allevamento di porci, impensabile in un paese prettamente ebraico. Gli apostoli sono ancora intimoriti dall'ultima dimostrazione di potere che Gesù aveva rivolto ad elementi naturali, ma ora stanno per vedere un espressione di forza ancora maggiore, non verso elementi fisici, bensì contro forze spirituali oscure. Appena sceso dalla barca gli viene incontro un uomo posseduto, dice il racconto, non da un solo spirito impuro ma da un intera legione. Non sappiamo se definirsi legione stesse a significare l'esatto numero di spiriti, una legione romana poteva essere composta da 1000 a 20000 unità, sempre in termini di migliaia si parlava,  probabilmente intendevano piuttosto rendere l'idea del notevole numero di entità che avevano aggredito l'uomo, esso aveva di conseguenza una notevole forza, tanto da rompere ogni legame con cui avevano cercato di soggiogarlo.
Il pover'uomo gridava e si lacerava la carne con pietre, viveva lontano dalle genti, tra le tombe e sui monti, nudo e con escoriazioni fatte dalle sue stesse mani. Uno spettacolo inquietante e penoso al tempo stesso.
Appena Gesù scende dalla barca gli si fa incontro gridando, riconosce in lui il figlio di Dio e lo teme, tuttavia gli resiste, infatti nonostante Gesù gli abbia comandato di uscire dall'uomo si mette a mercanteggiare, o meglio, la legione comunica con lui chiedendo di potersi trasferire in una mandria di porci che pascolano li vicino.
Non finisce bene per le povere bestiole che isterizzate da queste presenze malvage si gettano dalla scarpata e annegano.

È un racconto che mi pone più domande che risposte.
Perché Gesù va nella decapoli quando in altre occasioni afferma di essere stato mandato alle pecore d'Israele?  Perché una legione di spiriti si sono accaniti in un solo uomo? Morti i porci che fine hanno fatto gli spiriti?
Quale insegnamento traiamo da questo racconto?
Spiluccando in giro nei vari siti commentari ho trovato molte speculazioni su significati metaforici e  spiegazioni sulle incongruenze nel racconto,  tanto scolare di moscerino ma ho l'impressione che mi sfugga l'ovvio, il motivo principale per cui questo racconto è stato scelto tra le tante esperienze di Gesù.

Mi colpisce il suo potere, la forza invincibile del suo spirito, sia sugli elementi fisici che spiritici. Eppure, alla richiesta degli abitanti spaventati di andarsene non oppone ne forza ne ragionamento alcuno.
Gesù si offre ma non s'impone.
Non vuole suscitare paura ma amore che attrae. I geraseni vedono nella perdita del branco di porci un disastro piuttosto che il miracolo di guarigione di un loro fratello. La perdita materiale più importante del guadagno spirituale, della salvezza. Perdono così l'occasione di stare con l'uomo più importante che avessero mai potuto incontrare. Tuttavia Gesù ha ancora un dono da offrire, l'uomo guarito lo implora di portarlo con sé ma piuttosto gli ordina di restare e di rendergli testimonianza.
Offre quindi una nuova occasione di accogliere la lieta novella ai geraseni.
La testimonianza vivente di uno di loro, perduto e ritrovato.

Cap. 5,1-20
*Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Geraseni. *Appena Gesù scese dalla barca, subito gli venne incontro dai sepolcreti un uomo posseduto da uno spirito immondo. *Questi dimorava nei sepolcri, e nessuno poteva tenerlo legato, neppure con catene, *perché spesso era stato legato con ceppi e con catene, e le catene erano state da lui rotte, e i ceppi spezzati, e nessuno riusciva a domarlo. *E notte e giorno sempre nei sepolcri e sui monti andava gridando e percuotendo se stesso con pietre. *Vedendo Gesù da lontano, accorse e gli si prostrò davanti, *e gettando un forte grido disse: Perché ti intrometti tu, Gesù, Figlio di Dio l’Altissimo? Io ti scongiuro per Iddio, non mi tormentare! *Perché Gesù gli diceva: Esci spirito immondo da quest’uomo. *Poi gli domandò: Che nome hai? Gli rispose: Il mio nome è legione, perché siamo molti. *E lo supplicava di non scacciarlo da quel paese. *C’era là, sulle falde del monte, un grosso branco di porci a pascolare. *E si raccomandarono a lui dicendo: Mandaci in quei porci, perché entriamo in essi.
*Egli lo permise. Allora gli spiriti impuri, usciti, entrarono nei porci, e il branco si avventò dall’alto del precipizio nel mare. Erano circa duemila e affogarono nelle acque. *I guardiani fuggirono e portarono la notizia in città e nella campagna, e tutti accorsero a vedere ciò che era accaduto. *Arrivano da Gesù e vedono l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che aveva avuto la legione, e temettero. *Quelli che avevano visto raccontarono loro ciò che era avvenuto all’indemoniato e ai porci. *Allora presero a supplicarlo che se ne andasse dal loro territorio. *E mentre Gesù risaliva sulla barca, colui che era stato indemoniato gli chiese il permesso di stare con lui. *Ma egli non glielo permise, e gli disse: Và a casa tua, dai tuoi e racconta loro quanto il Signore nella sua misericordia ha fatto per te. *Egli se ne andò, e cominciò a divulgare per la Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatte per lui, e tutti ne restavano ammirati.
Ma le manifestazioni di potenza del Cristo non sono finite in questo capitolo. Dopo aver affermato il suo dominio sugli elementi naturali e sugli spiriti c'è ancora un altro aspetto eclatante da sconfiggere: la morte.
Torna all'altra riva e la folla già l'aspetta e gli si accalca attorno.
Tra la folla si affaccia un uomo di spicco, uno dei capi della sinagoga, con estrema umiltà e disperata premura lo prega gettandosi ai suoi piedi, la sua bambina sta morendo ed egli sa che Gesù può salvarla.
Ma tra la folla un'altra donna ha necessità di avvicinarsi a Gesù. Tuttavia come destare la sua attenzione? Sarebbe così vergognoso e umiliante dover confessare una malattia impura come una perdita di sangue, la legge le vietava di stare in mezzo alla gente, il solo ammettere questo problema l'avrebbe condannata agli occhi delle persone presenti. (Lev. 15:19-25). Eppure da dodici anni la sua vita era una tortura, si parla di dolorosa malattia, ma ad aggiungere dolore c'era l'annientamento della vita sociale della donna. Oltre a non poter stare in pubblico probabilmente non aveva figli e se sposata sarebbe stato facile per il marito ripudiarla, se nubile, impossibile farsi una famiglia.
Aveva speso tutto ciò che aveva consultando medici e sottoponendosi a numerose, penose cure, con il solo risultato di peggiorare ulteriormente.
Ella fa l'unica cosa possibile, Gesù sta allontanandosi, non c'è tempo per prenderlo in disparte, figurarsi, ma la sua fede è forte, "se solo tocco il suo mantello sarò guarita! Nessuno se ne accorgerà, non disturberò nemmeno il maestro..."
E qui si scopre che Gesù non aveva una bacchetta magica con cui guarire con leggerezza, qualcosa usciva da lui, della potenza, quindi si stancava. Egli sa esattamente  che tra il pressare della folla c'è stato un contatto diverso, l'energia dello spirito santo è fluita da lui alla donna che infatti all'istante sente di essere guarita. Ella sperava di potersi allontanare in disparte, nessuno avrebbe saputo se non che da ora in poi avrebbe potuto tornare a vivere una vita normale, ma Gesù fa una domanda e lei sa che la sta cercando.
"Chi mi ha toccato?"
I suoi discepoli quasi lo prendono in giro, "Signore, vedi la folla che ti preme e chiedi: chi mi ha toccato?" Questa domanda è quasi buffa per noi che sappiamo il proseguimento della storia ma rivela un aspetto intimo esistente tra gli apostoli e Gesù,  nonostante il precedente timore per le dimostrazioni della sua potenza essi si sentono liberi di esprimersi confidenzialmente con lui. Non capiscono, non sanno del dramma che si sta svolgendo tra lui e la donna ma rivelano quanto fosse avvicinabile e intimo nel suo rapporto con loro.
Gesù si prende la briga di spiegare ciò che per loro non è evidente, della potenza è uscita da lui e intanto si guarda attorno. La frase è rivolta al femminile, "per vedere colei che lo aveva fatto" se ciò corrisponde al greco significa che già sapeva chi fosse e lo immagino incontrare lo sguardo della donna spaventatissima, lei avrebbe voluto passare inosservata, la vergogna per la sua situazione, la condanna per aver trasgredito la legge che le imponeva una sorta di isolamento sociale per non rendere impuro chiunque la toccasse. Correva il rischio di essere presa a insulti e sassate dalla folla, più attenta al legalismo della legge piuttosto che al suo significato.
Eppure Gesù la guarda, se nel toccare la frangia c'era stato un contatto fisico minimo, quasi impercettibile eppure così grande da cambiare la sua vita, nello sguardo di Gesù c'è l'incontro di due anime. Non può sottrarsi, ha paura, è tremante ma si fa avanti. Confessa ciò che ha fatto, la fede della guarigione adesso si mostra in fiducia nel maestro, il suo sguardo non era di accusa e rimprovero, ma come una mano tesa, un invito a uscire dal suo isolamento e infatti una volta confessato avviene un secondo miracolo, Gesù la riporta alla dignità di figlia d'Israele. Non la chiama donna ma figlia, un termine più intimo, le dice "va in pace" non c'è condanna, anche la folla non si oppone essendo testimone del miracolo.
La scrittura dichiarava che ciò che è impuro rendeva impuro ciò che veniva in contatto con esso, ma Gesù rovescia il concetto rendendo con il suo contatto puro ciò che è impuro e nessuno può contraddire tale verità visto la miracolosa guarigione che ne consegue. Nessuno può più giudicare impura la donna quindi di cosa potrebbero accusarla?
C'era una sorta di ossessione per la purezza cerimoniale all'epoca. Il formalismo farisaico aveva reso la vita impossibile, una miriade di legalismi atti a separare il puro dall'impuro che troviamo spesso nei racconti evangelici. Fariseo di fatto significa separato, infatti troviamo spesso questa categoria di religiosi impegnati ad accusare Gesù per il suo anticonformismo al sistema.
Possiamo solo immaginare quindi l'angoscia di questa donna, la profonda vergogna di dover parlare della sua impurità e dell'inferno di quei dodici anni.

Cap. 5,21-43

*E, passato di nuovo Gesù in barca all’altra riva, una grande folla gli si radunò intorno, mentre egli stava in riva al mare. *E gli viene incontro uno dei capi di sinagoga, chiamato Giairo, il quale vedutolo, cade ai suoi piedi, e lo prega insistentemente: La mia bambina è agli estremi; vieni, imponi le tue mani su di lei perché sia salva e viva! *E Gesù andò con lui, e una grande folla lo seguiva e gli si accalcava intorno. *Ora una donna, che da dodici anni soffriva perdite di sangue, *e aveva patito molto in mano di molti medici e speso tutto il suo senza alcun giovamento, anzi piuttosto peggiorando, *udito parlare di Gesù, venne tra la folla alle sue spalle e gli toccò il mantello. *perché diceva: Se riesco a toccare anche solo le sue vesti, sarò guarita. *sull’istante ristagnò il suo flusso di sangue e sentì nel suo corpo di essere guarita da quell’infermità. *E subito Gesù, sapendo che una forza era uscita da lui, voltosi, disse alla folla: Chi mi ha toccato le vesti? *I discepoli risposero: Vedi la folla che ti preme e domandi: chi mi ha toccato? *Ma egli guardava intorno per vedere colei che lo aveva fatto. *Allora la donna, paurosa e tremante, ben sapendo quello che era avvenuto, venne e gli si gettò ai piedi e disse a lui tutta la verità. *Egli disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata; và in pace e sii guarita dal tuo male.
*Parlava ancora quando vengono dalla casa del capo della sinagoga a dirgli: La tua figlia è morta, perché disturbare ancora il Maestro? *Ma Gesù, sentito il discorso, disse al capo della sinagoga: Non temere, solo abbi fede. *E non permise che alcuno lo accompagnasse, salvo Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. *Giunti alla casa del capo della sinagoga, Gesù vide del tumulto e gente che piangeva e mandava alte grida. *Entrate disse loro: Perché strepitate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme. E si facevano beffe di lui. Ma egli, messi fuori tutti, prese il padre della fanciulla e la madre e quelli che l’accompagnavano, ed entrò dove giaceva la fanciulla. *E presala per mano, disse: Talithà qùm! Che vuol dire: Fanciulla, te lo dico io, sorgi. *Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare, perché aveva dodici anni. E furono presi da grande stupore. *Egli raccomandò loro insistentemente che nessuno lo sapesse e ordinò che le fosse dato da mangiare.
L'ultimo episodio,  il più drammatico del capitolo mostra la potenza del Cristo in relazione alla morte, egli può donare la vita! Gesù stesso afferma di essere la risurrezione e la vita, qui ne dà una dimostrazione pratica.
Riuscite ad immaginare il dolore e poi lo stupore e l'incredibile gioia dei genitori  nel rivedere viva la bambina? Gesù raccomanda di non farlo sapere a nessuno, "camuffa" la risurrezione affermando che la fanciulla dorme ma la notizia si sparge nella regione. Perché non vuole far sapere del miracolo?
Probabilmente perché ancora non era il suo tempo, quando risuscita Lazzaro e la notizia giunge ai farisei la conseguenza è che non solo vogliono ucciderlo, ma anche la vita di Lazzaro, testimonianza vivente del suo potere è in pericolo. Inoltre una resurrezione avrebbe potuto portarlo di fronte a uomini potenti desiderosi di possedere un uomo con la capacità di riportarli vita. Anche degli altri miracoli ad esclusione dell'indemoniato nella decapoli Gesù chiede il silenzio. Gesù guarisce, risuscita, ma si rifiuta di farlo per motivi sbagliati. Non compie miracoli per sé stesso, come trasformare le pietre in pani nel deserto o per mostrarsi in modo eclatante, infatti quando i farisei gli chiedono un segno si rifiuta.
Eppure quando vede il bisogno e la fede si dona senza esitare.

Non c'è commercio nelle opere di fede nè il desiderio di appagamento personale, tutto ciò che un cristiano fa, lo fa come gratuito dono di ciò che ha egli stesso ricevuto. Quando i motivi non sono puri si rischia di divenire risonanti cembali.
1Cor 13:1
Ho trovato interessante questo commento sul racconto:


### Anche qui, come in precedenza, c’è un contatto: Gesù le prende la mano e dice: “Talitha kum”. E’ un ordine perentorio. La figlia di Giairo si alza e si mette a camminare. Lo stupore è una delle parti fisse nei racconti di miracolo e rileva la gratuità di qualcosa che è avvenuto e che non è dipeso da noi. Il miracolo, prassi d’antirassegnazione, ci lascia sempre a bocca aperta di fronte alle inedite possibilità di cambiamento. Dopo Gesù si rivolge ai genitori ordinando loro due cose: Non fare della propria figlia un fenomeno da baraccone (raccomandò che nessuno venisse a saperlo); di darle da mangiare. Quest’ultima azione così concreta e così importante pone l’accento che la ragazza ora viveva ma che doveva continuare a vivere.
Un’altra considerazione che possiamo trarre da questa vicenda è il confronto tra Gesù e la morte. Nella casa del capo della sinagoga già si celebrava la morte secondo i riti di partecipazione sociale al lutto. E anche qui vi è un contrasto evidente: Gesù ridimensiona la tragedia della morte e vuol gettare un velo su quello che ha compiuto. Cosa sia avvenuto in quegli istanti tra Gesù e quella ragazzina dodicenne, rimarrà sempre nel cuore di Gesù ed è giusto che “nessuno venisse a saperlo”, perché l’azione di Dio nel cuore di ciascuno e ciascuna di noi possa manifestarsi liberamente oltre gli schemi che a volte ci imprigionano, oltre la folla chiassosa di cui troppe volte facciamo parte, oltre la non voglia di vivere che paralizza.
L’insegnamento che ne traiamo è che come Elia nel deserto, come questa fanciulla, anche noi abbiamo bisogno di riprendere il cammino: un po’ di pane, una mano da stringere e quella parola: Talitha kum!, alzati! ###
Da Adonai.it. it

Nella parte finale del cap 4 e in tutto il cap 5 assistiamo ala potenza del Cristo in rapporto agli elementi naturali, alle forze spirituali, di fronte alle malattie e perfino alla morte. Credere oggi a questi miracoli ci resta più difficile visto che possiamo solo leggerli nelle pagine dei Vangeli,  ma ricordiamo che furono scritti da Testimoni oculari o loro discepoli che furono disposti a lottare e anche a dare la vita per portare avanti questa testimonianza. A quale scopo se fosse stata una menzogna? Essi videro non uno ma innumerevoli miracoli, gli apostoli furono loro stessi in grado di farne. Marco scrisse il suo vangelo avvalendosi della testimonianza dell'apostolo Pietro che fu capace anche di compiere una resurrezione. Questo dovrebbe assicurarci sulla verità del racconto, anche se, infine, l'ultimo passo, il salto della fede ci sarà sempre chiesto di compierlo personalmente.

sabato 26 maggio 2018

Scrittura del giorno 26 Maggio 2018

Sceglietevi oggi chi volete servire (Gios. 24:15)
“Non farmi ragionare”, disse una donna a un amico. “Dimmi soltanto cosa devo fare. È più semplice”. Quella donna preferiva sentirsi dire cosa fare piuttosto che usare il libero arbitrio, un prezioso dono di Dio. E noi? Siamo contenti di poter fare le nostre scelte o preferiamo che altri decidano al posto nostro? Come consideriamo il libero arbitrio? Questo argomento è stato oggetto di dibattiti per secoli. Alcuni sostengono che il libero arbitrio non esista e che tutte le nostre azioni siano predestinate da Dio. Altri dicono che il libero arbitrio nel vero senso della parola può esistere solo a patto che si goda di assoluta libertà. Comunque, per giungere a una corretta comprensione dell’argomento dobbiamo consultare la Parola di Dio. La Bibbia, infatti, rivela che Geova ci ha creato con il libero arbitrio, cioè la capacità e la libertà di operare scelte consapevoli. w17.01 2:1, 2

giovedì 24 maggio 2018

Questioni giuridiche in caso divorzio affidamento figli e libertà di religione

Risultati immagini per figli affidamentoTrascrivo un articolo che potete trovare in questi giorni nel link laterale notizie dall'Italia. Vista la particolare pertinenza degli argomenti lo sottoponiamo alla fratellanza per tutte le considerazioni del caso.

questo è il link  potete trovare l'articolo originale.

Se uno dei genitori cerca di dissuadere il figlio dal cattolicesimo per instradarlo verso un altro credo religioso può farlo? Decide il padre o la madre sui principi religiosi da impartire al minore?
Marito e moglie si separano. Il figlio va a vivere con la madre ma questa, dopo il divorzio, decide di abbracciare un’altra religione, passando dal cattolicesimo a quella dei Testimoni di Geova. Così il sabato sera, nelle riunioni al Tempio, porta con sé anche il ragazzo ancora minorenne. Quest’ultimo, però, dopo aver passato anni nelle chiese cattoliche mostra di non gradire il cambiamento e partecipa al rito in modo seccato e imbarazzato. Lo viene a sapere il padre che, per reazione, intima all’ex moglie di astenersi da qualsiasi opera di conversione religiosa. La donna invece non ci sta: sostiene che, in quanto contitolare della potestà genitoriale, ha tutto il diritto di offrire al figlio una alternativa alla religione più comune in Italia. Chi dei due ha ragione? Si può convertire un figlio a un’altra religione? La questione è stata affrontata dalla Cassazione poche ore fa [1]. Ecco qual è l’insegnamento di questa nuova sentenza.

Quando si verificano dei contrasti tra i genitori sull’indirizzo dell’educazione da dare al figlio minorenne, in assenza di accordo tra i due a decidere è il tribunale. In particolare il padre o la madre può rivolgersi al giudice e chiedergli di adottare la decisione che ritiene più conveniente: non una terza via, ma una delle due in discussione. Nel decidere, il tribunale deve attenersi a un unico parametro: il miglior interesse del minore. Non rilevano eventuali convinzioni religiose o principi morali dei genitori. La questione, di recente, si sta ponendo sempre più spesso con riferimento alla dieta del figlio, tra onnivori, vegetariani e vegani che si scontrano su quale sia la migliore alimentazione da dare ai ragazzi nell’età della crescita.

Allo stesso modo, se un genitore vuol convertire il figlio alla propria religione, quando il minore è sempre stato abituato a un altro credo, non può non tenere conto dell’eventuale disagio da questo manifestato. Ed è perciò che il giudice deve chiamare in gioco i servizi sociali o lo psicologo affinché, dopo una attenta valutazione delle reazioni del giovane, possano esprimere il loro parere in merito, tramite una relazione scritta da depositare agli atti del procedimento civile.

Secondo il tribunale di Roma, il genitore non può imporre al minore la sua nuova religione se questa lo danneggia nella crescita e può compromettere il suo equilibrio emotivo.

Ciò non vuol dire un’astensione totale dal proselitismo, ma neanche una assillante pretesa, né tantomeno una costrizione. Il bambino deve essere messo nella condizione di poter decidere da sé. E se è ancora immaturo per farlo, bisognerà scegliere la via meno traumatica, quindi quella tradizionale nella quale è stato già instradato. La consulenza psicologica insomma definirà se il genitore sta adottando tecniche di convinzione troppo “pervasive” o meno. Non giova al genitore invocare la libertà di religione tutelata dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti umani: il perseguimento del superiore interesse del minore, con l’obiettivo di una crescita sana ed equilibrata, può anche comportare l’adozione di provvedimenti che riducono libertà individuali dei genitori se il relativo esercizio può danneggiare la salute psico-fisica e lo sviluppo del minore.

Un’ordinanza della Cassazione di un paio di anni fa ha stabilito che, se uno dei due coniugi decide di cambiare religione (nel caso di specie divenuto testimone di Geova), l’altro non può per questo chiedere la separazione con addebito né tantomeno l’affidamento esclusivo dei figli [2].

Richiamiamo infine una ordinanza del tribunale di Prato [3] che ha offerto una interpretazione molto rigorosa della problematica. Secondo i giudici toscani, ferma restando la libertà di ciascun genitore di scegliere il proprio credo, quando questa può essere destabilizzante per il figlio quest’ultimo può essere affidato all’altro genitore. Si leggono nel provvedimento testuali parole: «In tema di separazione giudiziale dei coniugi, posto che l’affido condiviso deve escludersi quando possa essere pregiudizievole per l’interesse dei figli minori, deve disporsi l’affido esclusivo del minore – nella specie di cinque anni di età – al genitore in grado di assicurargli un modello educativo predominante idoneo a garantirne un regolare processo di socializzazione, e consentirgli l’acquisizione delle certezze indispensabili per una crescita equilibrata, qualora l’altro genitore – nella specie la madre -per aver abbracciato una nuova religione, quella dei testimoni di Geova, si presenta destabilizzante per il minore stesso, prospettando un modello educativo tale da renderne impossibile una corretta socializzazione».


martedì 22 maggio 2018

Velina-Meeting Sindacato Anestesisti a Roma

Saqure (SAfety, QUality, REliability), Meeting del Sindacato degli Anestesisti Rianimatori Italiani ha organizzato a Roma dal 24 al 26 maggio. Sabato mattina l’evento dedicato al “Biotestamento dopo la Legge 219/2017” in cui, tra gli altri, saranno presenti Amato De Monte, Beppino Englaro e Maria Antonietta Farina Coscioni. Nello stesso giorno verrà affrontato un altro tema di estrema attualità, con l’approfondimento sul “Buon uso del sangue”, in cui è prevista una relazione dedicata alla gestione del Paziente Testimone di Geova, conclude l’Aaroi-Emac.

Programma Evento



Via XX Settembre 98/E - 00187 ROMA
telefono: 06.47825272 - 081.5585160
Dal Lunedì al Venerdì dalle ore 9 alle ore 17

mercoledì 16 maggio 2018

L'insegnamento del Cristo




Il capitolo quattro del vangelo di Marco comincia con delle storie, o meglio, parabole che Gesù spesso usava per insegnare. Se da una parte l'utilizzo di paragoni e illustrazioni poteva rendere più semplice comprendere un insegnamento, potevano al tempo stesso rendere criptica la comprensione di aspetti che solo chi era disposto a scavare e cercare riusciva ad estrarre. I primi paragrafi ci introducono quindi in una visione molto comune per l'epoca: Un seminatore che sparge il seme, esso cade su vari tipi di terreno con effetti differenti pur trattandosi dello stesso seme.

Ciò che fa la differenza non è quindi il messaggio del regno, il seme, bensì il terreno su cui cade, il cuore delle persone che ascoltano. Significa questo che siamo destinati ad essere recettivi o insensibili al messaggio?

Un terreno può cambiare nel tempo. Il continuo calpestio può trasformare in terra battuta un terreno fertile, la cura e il giusto lavorio può trasformare in soffice terriccio un terreno arido. Alcuni fratelli un tempo gioiosi e zelanti sono stati continuamente calpestati da direttive e anziani incompetenti fino a spegnersi spiritualmente. Persone un tempo atee sono fiorite in modo inaspettato a contatto con l'acqua vivificante delle scritture, semi che sembravano persi hanno dato molto frutto. Tuttavia, la semina dev'essere generosa, incurante del terreni su cui possa cadere, l'esortazione che troviamo nei salmi è di seminare ovunque possiamo perché non sappiamo dove avrà successo. La predicazione di casa in casa è solo una possibile applicazione e nemmeno la più vicina a quello che facevano i primi cristiani, ciò non toglie che parlare del vangelo è importante. Una predicazione informale, compresa la testimonianza vivente dei principi biblici è senz'altro alla portata di tutti.

Risultati immagini per seminatoreMarco 4: 1-9 E di nuovo cominciò a insegnare in riva al mare. Ed essendosi radunata una grande folla intorno a lui, egli entrò in una barca e se ne stava in mare, mentre la gente era a terra sulla riva. *E insegnava loro soprattutto in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: *Ascoltate: Ecco, il seminatore uscì a seminare. *E nel seminare avvenne che parte del seme cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e se lo beccarono. *E altro cadde sul suolo roccioso, dove non trovò molta terra e subito spuntò, non avendo fondo di terra, *ma levatosi il sole, riarse, e per mancanza di radici seccò. *E altro ancora cadde fra le spine; e le spine crebbero e lo soffocarono e non fece frutto. *E altro ancora cadde nella terra buona, e rese, crebbe e granì e produsse dove il trenta, dove il sessanta e dove il cento per uno. *E diceva: Chi ha orecchi per intendere intenda.

Gesù esorta più volte ad ascoltare attentamente, le parabole possono avere diversi significati che solo un uditore attento riesce a cogliere, infatti la maggioranza della folla se ne va senza richiedere spiegazioni ma alcuni non si accontentano e vengono premiati con ulteriore luce. Dovremmo quindi imparare la lezione, se vogliamo davvero scavare a fondo non possiamo arrendeci alle prime difficoltà. 

10Quando la folla andò via, quelli che gli stavano intorno insieme ai Dodici gli fecero delle domande sulle parabole.+ 11 Lui disse loro: “A voi è stato dato il sacro segreto+ del Regno di Dio, ma per quelli di fuori ogni cosa è in parabole,+ 12 così che guardino, ma senza vedere, e odano, ma senza capire, e non si convertano né ricevano il perdono”.+13 Inoltre disse loro: “Se non capite questa parabola, come capirete tutte le altre?

Questa parabola ha poi la sua spiegazione nei versetti successivi:

4: 13 Poi disse loro: Voi non intendete questa parabola; come comprenderete tutte le parabole? *Il seminatore semina la parola. *Alcuni sono come i semi lungo a via, dove è seminata la parola; ricevono la parola, ma subito viene satana e porta via la parola seminata in loro. *Allo stesso modo quelli che ricevono il seme sul suolo roccioso sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito con gioia l’accolgono, * ma non avendo in sé radici, sono incostanti, e quando, a causa della parola, viene l’avversità o la persecuzione, subito vengono meno. *Altri sono come il seme caduto tra le spine: ascoltano la parola, *ma quando sopraggiungono le preoccupazioni del vivere e l’inganno della ricchezza e le altre cupidigie soffocano la parola che rimane senza frutto. *Infine quelli che ricevono il seme nella terra buona sono coloro che ascoltano e accolgono la parola e portano frutto, chi il trenta, chi il sessanta, chi il cento per uno.

Anziché preoccuparci per il seme sprecato dovremmo pensare a che tipo di terreno siamo noi o a che tipo di terreno stiamo diventando. É possibile che per molto tempo abbiamo accolto con gioia la parola di Dio, ma cosa ci sta accadendo adesso che la consapevolezza ci ha creato non poca crisi spirituale?

La difficoltà di mantenere forte la fede sta forse rivelando zolle dure nel terreno del nostro cuore? Oppure adesso, delusi dagli uomini stiamo accantonando l'idea di cercare prima il regno e permettiamo a "spine" di soffocare la nostra fede? I principi biblici imparati dovrebbero aver messo profonda radice nel terreno dei nostri cuori, se abbiamo rinunciato a vivere una vita immorale, dedita ai piaceri dovremmo esserne felici, oppure rimpiangiamo le occasioni perse? Certo, adesso ci rendiamo conto che insieme a buoni principi abbiamo inseguito o sostituito con la "carriera" spirituale una vita normale, facciamo il punto cercando di capire cosa è giusto mantenere e cosa non serve alla nostra corsa cristiana, senza recriminare gli errori andiamo avanti.

In questo modo dimostreremo di essere terreno eccellente, o come leggiamo nella stessa parabola in Luca 8:15, coloro che odono la parola con cuore onesto e buono e la ritengono per portar frutto.

Risultati immagini per gesu luceSegue un ammonimento ripetuto, prestare attenzione a come si ascolta e si recepisce la parola. Essa è una luce che non va nascosta. Il Moggio era un contenitore, un cesto per cereali, la parola, paragonata alla luce di una lampada non può essere nascosta, non è questo lo scopo della luce. Che dire se cercassimo di tenerla per noi intrappolandola sotto un cesto? Essa filtrarebbe comunque ma soffocata. Non ne trarremmo beneficio né noi, né altri.

Ho pensato che usare nell'esempio un Moggio, un cesto per contenere cereali non fosse casuale. Da l'idea di voler tenere per sé, in un contenitore la luce. Come seppellire il talento affidatoci. Infatti anche qui, come nella parabola dei talenti, viene ripetuto che ci sarà tolto anche ciò che pensiamo di avere se non lo facciamo fruttare.

Ricordiamo che la luce con cui risplendiamo come illuminatori del mondo non si limita alle parole. Non è la predicazione del vangelo, anche se ne fa parte ma questa luce sono le opere buone che la parola ci spinge a fare.

Cap. 4,21-25

*E diceva loro: Viene forse la lucerna per metterla sotto il recipiente o sotto il letto? O non piuttosto sul candelabro? *Perché nulla vi è di nascosto che non sarà manifestato, e nulla di segreto che non sarà messo in luce. *Se uno ha orecchi per intendere, intenda. *E diceva ancora: Fate attenzione a ciò che ascoltate: Nella misura con la quale misurate, sarà rimisurato a voi, e vi sarà dato anche di più. *Poiché a chi ha sarà dato, e a chi non ha anche quello che ha sarà tolto.

Ho trovato questo interessante commento dal sito Qumran.net. net:

###La lampada è la parola di Dio: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal 119,105; cfr 2Pt 1,19). La parola del vangelo è come una luce posta sul candelabro: essa illumina tutto ciò che è nascosto nel cuore dell'uomo. Nella Lettera agli Ebrei 4,12-13 si legge: "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto".

E' la parola che mostra chiaramente se l'uomo è simile a un buon terreno o a un terreno pieno di pietre o di spine. Essa ha la funzione di giudice: è l'espressione del giudizio di Dio. Ognuno faccia dunque attenzione al proprio modo di ascoltare, perché l'ascolto è la misura del messaggio ricevuto: ognuno infatti intende solo ciò che può o vuole intendere. L'uomo si giudica da se stesso, secondo il modo e la misura del suo ascolto.

La frase finale: "A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" si chiarisce alla luce del contesto: ciò che si tratta di avere sono, anzitutto, delle orecchie in grado di ascoltare. Ritroviamo qui il tema sapienziale della capacità di accoglienza della conoscenza; questa aumenta a misura della disponibilità. La sapienza divina è principio di comprensione sempre più profonda per chi si lascia ammaestrare da lei: "Ascolti il saggio e aumenterà il sapere" (Pr 1,5), ma diventa progressivamente impenetrabile per chi la rifiuta: "Il beffardo ricerca la sapienza, ma invano" (Pr 14,6).

Come nella parabola del seminatore si sottolinea la necessità di non soffocare il seme del regno di Dio, annunciato dalla parola di Gesù, così in questo brano siamo invitati a non chiudere gli occhi dinanzi alla luce che si manifesta e che, se accolta, diventerà sempre più sfolgorante.###

Segue adesso una parabola sempre relativa alla semina del regno, i personaggi sono gli stessi: il seminatore, il seme, il terreno. Questa parabola si trova unicamente nel vangelo di Marco e pone l'accento sulla crescita misteriosa che avviene quando il seme incontra un terreno fertile. Crescita che resta al di fuori della portata del contadino, egli si limita al suo compito di seminare fiducioso che il potenziale contenuto nel seme farà il resto.

Cap. 4,26-29
*E diceva loro: Avviene del regno di Dio come di un uomo che sparge il seme nel terreno: *dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce ed egli non sa come. *La terra da sé produce: prima l’erba, poi la spiga e infine il grano gremito nella spiga. *E quando il frutto è maturo, subito vi si mette la falce, perché è venuto il momento della mietitura.

Dal blog: Prediche online

###Rudolf Schnackenburg scrive: “ Gesù vuole certamente con questa parabola innanzi tutto dare un conforto agli uditori, che devono rendersi conto che la seminagione è in atto, già operano le forze di Dio, anche se si sviluppano nascostamente e senza chiasso. Non è ancora giunto il tempo della mietitura, ma la sua venuta è certa. Nell’attesa bisogna aspettare con pazienza e serenità, fiduciosi nella potenza divina. Non è con un’inqueta attività personale che si potrà raggiungere lo scopo, perché il regno di Dio non viene eretto dagli uomini. Per quanto peso abbia la predicazione, la cosa più importante rimane pur sempre l’azione di Dio”.

Secondo questo punto di vista allora Gesù ha detto questa parabola per incoraggiare i Suoi discepoli, mirava a rafforzare la fiducia di chi lo ascoltava, in Dio e nella Sua opera: il seme cresce in silenzio e misteriosamente per la potenza di Dio, e alla fine ci sarà di certo la mietitura.

Il succo della parabola, dunque è che il regno di Dio sarebbe cresciuto in segreto non per le capacità umane (né i cristiani e né altri possono edificare il regno di Dio, o forzare il corso della storia), e ci sarà sicuramente il raccolto da parte di Dio alla manifestazione gloriosa, di conseguenza i credenti possono essere incoraggiati e avere fiducia nonostante le persecuzioni, i problemi, nonostante non si vedano nel presente grandi risultati.  Anche se il regno di Dio sembra essere inattivo, in realtà è in crescita e la raccolta verrà come vuole Dio e al suo tempo. Cristo è venuto a seminare, ha inaugurato e in futuro verrà a raccogliere!###

Possiamo applicare i principi di semina, lasciar crescere, raccogliere, a tre aspetti:

  • nell'evangelizzazione, 
  • nella crescita personale, 
  • nella realizzazione del regno di Dio.

Per quanto siamo chiamati all'attività, la crescita non dipende da noi. Se lasciamo fare a Dio, ciò che abbiamo seminato porterà frutto. Le parole che diffondiamo possono trovare un terreno fertile e produrre senza che noi mai lo sapremo. Il continuo seminare nel nostro cuore con lo studio delle scritture farà crescere in noi il frutto dello spirito, un lavorio lento e costante che darà frutto quasi senza che ce ne accorgiamo ma trasformera la nostra vita dandole significato. 

Il regno si realizzerà secondo la volontà divina e sta già portando avanti il progetto, nonostante non ne vediamo le evidenze, un po come le radici che il seme emette sotto il terreno e i germogli che spuntano dal suolo. Non a caso Gesù in una profezia viene chiamato germoglio, infatti da lui, piccolo germoglio, cresce qualcosa che influirà nella vita di miliardi di persone e trasformerà l'intera terra. (Is. 11:1)

###Ecco allora l’insegnamento di Gesù: occorre meravigliarsi del regno che si dilata sempre di più, anche quando noi non ce ne accorgiamo, e di conseguenza occorre avere fiducia nel seme e nella sua forza. E il seme è la parola che, seminata dal predicatore, darà frutto anche se lui non se ne accorge né può verificare il processo: di questo deve essere certo! Nessuna ansia pastorale, ma solo sollecitudine e attesa; nessuna angoscia di essere sterili nel predicare: se il seme è buono, se la parola predicata è parola di Dio e non del predicatore, essa darà frutto in modo anche invisibile. Questa la certezza del “seminatore” credente e consapevole di ciò che opera: la speranza della mietitura e del raccolto non può essere messa in discussione.

Segue un’altra parabola, sempre sul seme, ma questa volta su un seme di senape. Gesù è veramente un uomo intelligente e sapiente, e anche in questa parabola le sue parole mostrano come egli non fosse mai distratto, ma tutto e tutti vedesse e pensasse. Egli sa bene che il chicco di senape è tra i semi più minuscoli, non più grande di un granello di sale; eppure anch’esso, se seminato in terra, diventa un albero che si impone. Sembra impossibile che da un seme così minuscolo possa derivare un albero tanto rigoglioso: anche qui c’è dunque da stupirsi, da meravigliarsi! Eppure proprio ciò che ai nostri occhi è piccolo, può avere una forza impensabile per noi umani… Ecco, infatti, che il seme di senape sotto terra marcisce, germoglia, poi spunta e cresce fino a essere un arbusto sulle cui fronde gli uccelli possono fare il nido. Qui Gesù allude certamente a quell’albero intravisto da Daniele, simbolo del regno universale di Dio (cf. Dn 4,6-9.17-19). Sì, anche questa parabola vuole comunicarci qualcosa di decisivo: la parola di Dio che ci è stata donata può sembrare piccola cosa, rivestita com’è di parola umana, fragile e debole, messa in bocca a uomini e donne poveri, non intellettuali, non saggi secondo il mondo (cf. 1Cor 1,26). Eppure quando essa è seminata e predicata da loro, proprio perché è parola di Dio contenuta in parole umane, è feconda e può crescere come un albero capace di accogliere tante creature.

Risultati immagini per parabola seme senapeQueste parabole ci devono interrogare sulla nostra consapevolezza della parola di Dio che ci è data e che noi dobbiamo seminare, sulla nostra visione del Regno come realtà di piccoli e di poveri, realtà di un “piccolo gregge” (Lc 12,32), che può divenire una raccolta delle genti del mondo intero, in cammino verso il regno di Dio veniente per tutti. Ma pensiamoci un momento: chi pronunciava queste parabole era un oscuro laico di Galilea, non sacerdote e neppure rabbino formatosi in qualche scuola riconosciuta a Gerusalemme o lungo il lago di Galilea. E con lui c’era una comunità itinerante che lo seguiva: una dozzina di uomini e poche donne senza cultura; una realtà piccola e oscura ma significativa. Allora, perché avere timore di essere noi cristiani una minoranza oggi nel mondo? Basta che siamo significativi, cioè che crediamo alla potenza della parola di Dio, che la seminiamo con umiltà e molta pace, senza angoscia né frenetica attesa di vedere i risultati…###
Dal sito: Monastero di Bose

Mi ha colpito particolarmente questo commento per il suo ripetere una parola che abbiamo adottato per identificarci: cristiani consapevoli. La consapevolezza non appartiene solo a noi con un vissuto da tdG, ma ad ogni cristiano che ad un certo punto si rende conto di dover diventare discepolo di Cristo e non di una religione. Siamo come bambini che iniziano a camminare con le proprie Gambe anziché affidarsi a qualche tutore. Eppure quel tutore ha avuto la sua importanza affinché imparassimo a muovere i primi incerti passi, affinché prendessimo in mano le scritture e ne comprendessimo il valore.  Come tutori le varie denominazioni cristiane hanno contribuito a tradurre e diffondere il seme del regno ma purtroppo nel tempo sono divenute gelose del proprio lavoro e hanno cercato di mantenere bambini i piccoli loro affidati. Ecco che diventa importante cominciare a nutrirci in modo indipendente per non rimanere bambini sempre bisognosi che qualcun'altro provveda alle nostre necessità. Come possiamo crescere? Continuando a cercare, bussare, chiedere, cercando di muovere passi nuovi, non di ribellione o rabbia ma di consapevole maturità, da bambini diverremo prima adolescenti ancora incerti ma poi uomini fatti, in grado di distinguere il bene e il male, in grado di applicare i principi anche senza un tutore pronto a dettarci regole o a correggerci.

Eb. 5:13 Infatti chi continua a nutrirsi di latte non conosce la parola della giustizia, perché è bambino.+

14 Ma il cibo solido è per le persone mature, per coloro che con l’uso hanno allenato la propria facoltà di giudizio* a distinguere il bene dal male.
Cap. 4,30-34

* Diceva ancora: A che paragoneremo noi il regno di Dio, o con quale parabola lo raffigureremo? *A un chicco di senapa: quando si semina nel terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sopra la terra; * ma appena seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi e mette rami così grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra. *E con molte di queste parabole esponeva loro la parola secondo che erano in grado di intendere.*E non parlava loro senza parabole, ma in privato spiegava ogni cosa ai suoi discepoli.

Adesso la scena si sposta. Gesù e i suoi apostoli hanno passato una giornata intensa in compagnia delle folle, spesso non c'era nemmeno il tempo per mangiare, tutti accorrevano per ricevere conforto e guarigione, sappiamo che Gesù si rendeva conto che della potenza usciva da lui (5:30), quindi doveva essere stanco. Chiede agli apostoli di spostarsi attraverso il mar di Galilea, un sistema semplice per allontanarsi dalla folla che congeda. Si addormenta, stanco del lavoro svolto ma anche fiducioso che nulla di male sarebbe accaduto, Dio era con lui. Sal.23:4.

Non è così per gli apostoli, benché abili marinai si ritrovano a combattere con un improvvisa e violenta tempesta che in quell'ambiente, un lago sotto il livello del mare circondato da montagne, poteva davvero far paura. Nonostante avessero visto decine, centinaia di miracoli di fronte alla tempesta la loro fede viene meno e svegliano Gesù allarmati dal pericolo. Non chiedono cosa fare ma quasi lo accusano di questa situazione angosciosa: " Maestro, non t'importa che noi andiamo perduti?" Un rimprovero, come dire, hai salvato le folle oggi e lasci noi nel pericolo? Basta poco a Gesù per calmare le acque e il vento ma fa un inquietante domanda ai suoi discepoli: " Perché avete paura? Non avete ancora fede?"

Sì pensa a Pietro che affondando implorò il maestro ma qui tutti loro fecero la stessa cosa ed ebbero lo stesso rimprovero. La loro fede non era ancora abbastanza forte e di fronte ad una prova vennero meno, ma seppero a chi rivolgersi. Ci accade spesso di sentir venir meno la fede, a volte le tempeste della vita ci spaventano e sconvolgono così tanto da arrivare a chiederci se a Dio importa di noi. Se davvero ci ama o forse i pericoli, le lotte, i problemi che affrontiamo non siano la dimostrazione che siamo soli, abbandonati. Non scoraggiamoci, anche i discepoli vennero meno ma Gesù non li abbandonò. Li considerò ciò nonostante suoi amici e uomini maturi affidandogli in seguito la cura dell'ekklesia.  In realtà il vero pericolo non è continuare a farci domande e cercare aiuto ma credere di essere arrivati e non aver bisogno d'altro. Pensare di aver tutto compreso, magari guardando con alterigia chi secondo noi ancora non ha capito. Come vediamo i nostri fratelli non consapevoli? Li vediamo con amorevole compassione o con disprezzo? 

Anche dopo aver visto questo ennesimo, grande miracolo essi si concentrano sul punto sbagliato. Anziché rinnovare la fiducia in lui ne hanno timore e si chiedono chi mai sia da poter persino comandare al vento e al mare. 

E io mi immagino che nelle stesse condizioni, di fronte a un miracolo, avremmo la medesima reazione di spavento...

Cap. 4,35-41
*Venuta la sera di quel giorno, disse loro: Passiamo all’altra riva. *Essi, congedata la folla, lo condussero, così com’era, nella barca. Vi erano anche altre barche intorno a lui. *E si levò un turbine impetuoso di vento che spingeva le onde nella barca e già ne era piena. *Egli a poppa, sopra un guanciale, dormiva. Lo destarono e gli dissero: Maestro, non ti importa che noi andiamo perduti? *Egli svegliatosi, comandò al vento e disse al mare: Taci! Quietati! Il vento cessò, e si fece una grande calma. *E disse loro: Perché siete così paurosi? Come mai non avete fede? *Essi, presi da timore grande, dicevano gli uni gli altri: Chi è dunque costui che perfino il vento e il mare gli ubbidiscono?