mercoledì 16 maggio 2018

L'insegnamento del Cristo




Il capitolo quattro del vangelo di Marco comincia con delle storie, o meglio, parabole che Gesù spesso usava per insegnare. Se da una parte l'utilizzo di paragoni e illustrazioni poteva rendere più semplice comprendere un insegnamento, potevano al tempo stesso rendere criptica la comprensione di aspetti che solo chi era disposto a scavare e cercare riusciva ad estrarre. I primi paragrafi ci introducono quindi in una visione molto comune per l'epoca: Un seminatore che sparge il seme, esso cade su vari tipi di terreno con effetti differenti pur trattandosi dello stesso seme.

Ciò che fa la differenza non è quindi il messaggio del regno, il seme, bensì il terreno su cui cade, il cuore delle persone che ascoltano. Significa questo che siamo destinati ad essere recettivi o insensibili al messaggio?

Un terreno può cambiare nel tempo. Il continuo calpestio può trasformare in terra battuta un terreno fertile, la cura e il giusto lavorio può trasformare in soffice terriccio un terreno arido. Alcuni fratelli un tempo gioiosi e zelanti sono stati continuamente calpestati da direttive e anziani incompetenti fino a spegnersi spiritualmente. Persone un tempo atee sono fiorite in modo inaspettato a contatto con l'acqua vivificante delle scritture, semi che sembravano persi hanno dato molto frutto. Tuttavia, la semina dev'essere generosa, incurante del terreni su cui possa cadere, l'esortazione che troviamo nei salmi è di seminare ovunque possiamo perché non sappiamo dove avrà successo. La predicazione di casa in casa è solo una possibile applicazione e nemmeno la più vicina a quello che facevano i primi cristiani, ciò non toglie che parlare del vangelo è importante. Una predicazione informale, compresa la testimonianza vivente dei principi biblici è senz'altro alla portata di tutti.

Risultati immagini per seminatoreMarco 4: 1-9 E di nuovo cominciò a insegnare in riva al mare. Ed essendosi radunata una grande folla intorno a lui, egli entrò in una barca e se ne stava in mare, mentre la gente era a terra sulla riva. *E insegnava loro soprattutto in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: *Ascoltate: Ecco, il seminatore uscì a seminare. *E nel seminare avvenne che parte del seme cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e se lo beccarono. *E altro cadde sul suolo roccioso, dove non trovò molta terra e subito spuntò, non avendo fondo di terra, *ma levatosi il sole, riarse, e per mancanza di radici seccò. *E altro ancora cadde fra le spine; e le spine crebbero e lo soffocarono e non fece frutto. *E altro ancora cadde nella terra buona, e rese, crebbe e granì e produsse dove il trenta, dove il sessanta e dove il cento per uno. *E diceva: Chi ha orecchi per intendere intenda.

Gesù esorta più volte ad ascoltare attentamente, le parabole possono avere diversi significati che solo un uditore attento riesce a cogliere, infatti la maggioranza della folla se ne va senza richiedere spiegazioni ma alcuni non si accontentano e vengono premiati con ulteriore luce. Dovremmo quindi imparare la lezione, se vogliamo davvero scavare a fondo non possiamo arrendeci alle prime difficoltà. 

10Quando la folla andò via, quelli che gli stavano intorno insieme ai Dodici gli fecero delle domande sulle parabole.+ 11 Lui disse loro: “A voi è stato dato il sacro segreto+ del Regno di Dio, ma per quelli di fuori ogni cosa è in parabole,+ 12 così che guardino, ma senza vedere, e odano, ma senza capire, e non si convertano né ricevano il perdono”.+13 Inoltre disse loro: “Se non capite questa parabola, come capirete tutte le altre?

Questa parabola ha poi la sua spiegazione nei versetti successivi:

4: 13 Poi disse loro: Voi non intendete questa parabola; come comprenderete tutte le parabole? *Il seminatore semina la parola. *Alcuni sono come i semi lungo a via, dove è seminata la parola; ricevono la parola, ma subito viene satana e porta via la parola seminata in loro. *Allo stesso modo quelli che ricevono il seme sul suolo roccioso sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito con gioia l’accolgono, * ma non avendo in sé radici, sono incostanti, e quando, a causa della parola, viene l’avversità o la persecuzione, subito vengono meno. *Altri sono come il seme caduto tra le spine: ascoltano la parola, *ma quando sopraggiungono le preoccupazioni del vivere e l’inganno della ricchezza e le altre cupidigie soffocano la parola che rimane senza frutto. *Infine quelli che ricevono il seme nella terra buona sono coloro che ascoltano e accolgono la parola e portano frutto, chi il trenta, chi il sessanta, chi il cento per uno.

Anziché preoccuparci per il seme sprecato dovremmo pensare a che tipo di terreno siamo noi o a che tipo di terreno stiamo diventando. É possibile che per molto tempo abbiamo accolto con gioia la parola di Dio, ma cosa ci sta accadendo adesso che la consapevolezza ci ha creato non poca crisi spirituale?

La difficoltà di mantenere forte la fede sta forse rivelando zolle dure nel terreno del nostro cuore? Oppure adesso, delusi dagli uomini stiamo accantonando l'idea di cercare prima il regno e permettiamo a "spine" di soffocare la nostra fede? I principi biblici imparati dovrebbero aver messo profonda radice nel terreno dei nostri cuori, se abbiamo rinunciato a vivere una vita immorale, dedita ai piaceri dovremmo esserne felici, oppure rimpiangiamo le occasioni perse? Certo, adesso ci rendiamo conto che insieme a buoni principi abbiamo inseguito o sostituito con la "carriera" spirituale una vita normale, facciamo il punto cercando di capire cosa è giusto mantenere e cosa non serve alla nostra corsa cristiana, senza recriminare gli errori andiamo avanti.

In questo modo dimostreremo di essere terreno eccellente, o come leggiamo nella stessa parabola in Luca 8:15, coloro che odono la parola con cuore onesto e buono e la ritengono per portar frutto.

Risultati immagini per gesu luceSegue un ammonimento ripetuto, prestare attenzione a come si ascolta e si recepisce la parola. Essa è una luce che non va nascosta. Il Moggio era un contenitore, un cesto per cereali, la parola, paragonata alla luce di una lampada non può essere nascosta, non è questo lo scopo della luce. Che dire se cercassimo di tenerla per noi intrappolandola sotto un cesto? Essa filtrarebbe comunque ma soffocata. Non ne trarremmo beneficio né noi, né altri.

Ho pensato che usare nell'esempio un Moggio, un cesto per contenere cereali non fosse casuale. Da l'idea di voler tenere per sé, in un contenitore la luce. Come seppellire il talento affidatoci. Infatti anche qui, come nella parabola dei talenti, viene ripetuto che ci sarà tolto anche ciò che pensiamo di avere se non lo facciamo fruttare.

Ricordiamo che la luce con cui risplendiamo come illuminatori del mondo non si limita alle parole. Non è la predicazione del vangelo, anche se ne fa parte ma questa luce sono le opere buone che la parola ci spinge a fare.

Cap. 4,21-25

*E diceva loro: Viene forse la lucerna per metterla sotto il recipiente o sotto il letto? O non piuttosto sul candelabro? *Perché nulla vi è di nascosto che non sarà manifestato, e nulla di segreto che non sarà messo in luce. *Se uno ha orecchi per intendere, intenda. *E diceva ancora: Fate attenzione a ciò che ascoltate: Nella misura con la quale misurate, sarà rimisurato a voi, e vi sarà dato anche di più. *Poiché a chi ha sarà dato, e a chi non ha anche quello che ha sarà tolto.

Ho trovato questo interessante commento dal sito Qumran.net. net:

###La lampada è la parola di Dio: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal 119,105; cfr 2Pt 1,19). La parola del vangelo è come una luce posta sul candelabro: essa illumina tutto ciò che è nascosto nel cuore dell'uomo. Nella Lettera agli Ebrei 4,12-13 si legge: "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto".

E' la parola che mostra chiaramente se l'uomo è simile a un buon terreno o a un terreno pieno di pietre o di spine. Essa ha la funzione di giudice: è l'espressione del giudizio di Dio. Ognuno faccia dunque attenzione al proprio modo di ascoltare, perché l'ascolto è la misura del messaggio ricevuto: ognuno infatti intende solo ciò che può o vuole intendere. L'uomo si giudica da se stesso, secondo il modo e la misura del suo ascolto.

La frase finale: "A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" si chiarisce alla luce del contesto: ciò che si tratta di avere sono, anzitutto, delle orecchie in grado di ascoltare. Ritroviamo qui il tema sapienziale della capacità di accoglienza della conoscenza; questa aumenta a misura della disponibilità. La sapienza divina è principio di comprensione sempre più profonda per chi si lascia ammaestrare da lei: "Ascolti il saggio e aumenterà il sapere" (Pr 1,5), ma diventa progressivamente impenetrabile per chi la rifiuta: "Il beffardo ricerca la sapienza, ma invano" (Pr 14,6).

Come nella parabola del seminatore si sottolinea la necessità di non soffocare il seme del regno di Dio, annunciato dalla parola di Gesù, così in questo brano siamo invitati a non chiudere gli occhi dinanzi alla luce che si manifesta e che, se accolta, diventerà sempre più sfolgorante.###

Segue adesso una parabola sempre relativa alla semina del regno, i personaggi sono gli stessi: il seminatore, il seme, il terreno. Questa parabola si trova unicamente nel vangelo di Marco e pone l'accento sulla crescita misteriosa che avviene quando il seme incontra un terreno fertile. Crescita che resta al di fuori della portata del contadino, egli si limita al suo compito di seminare fiducioso che il potenziale contenuto nel seme farà il resto.

Cap. 4,26-29
*E diceva loro: Avviene del regno di Dio come di un uomo che sparge il seme nel terreno: *dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce ed egli non sa come. *La terra da sé produce: prima l’erba, poi la spiga e infine il grano gremito nella spiga. *E quando il frutto è maturo, subito vi si mette la falce, perché è venuto il momento della mietitura.

Dal blog: Prediche online

###Rudolf Schnackenburg scrive: “ Gesù vuole certamente con questa parabola innanzi tutto dare un conforto agli uditori, che devono rendersi conto che la seminagione è in atto, già operano le forze di Dio, anche se si sviluppano nascostamente e senza chiasso. Non è ancora giunto il tempo della mietitura, ma la sua venuta è certa. Nell’attesa bisogna aspettare con pazienza e serenità, fiduciosi nella potenza divina. Non è con un’inqueta attività personale che si potrà raggiungere lo scopo, perché il regno di Dio non viene eretto dagli uomini. Per quanto peso abbia la predicazione, la cosa più importante rimane pur sempre l’azione di Dio”.

Secondo questo punto di vista allora Gesù ha detto questa parabola per incoraggiare i Suoi discepoli, mirava a rafforzare la fiducia di chi lo ascoltava, in Dio e nella Sua opera: il seme cresce in silenzio e misteriosamente per la potenza di Dio, e alla fine ci sarà di certo la mietitura.

Il succo della parabola, dunque è che il regno di Dio sarebbe cresciuto in segreto non per le capacità umane (né i cristiani e né altri possono edificare il regno di Dio, o forzare il corso della storia), e ci sarà sicuramente il raccolto da parte di Dio alla manifestazione gloriosa, di conseguenza i credenti possono essere incoraggiati e avere fiducia nonostante le persecuzioni, i problemi, nonostante non si vedano nel presente grandi risultati.  Anche se il regno di Dio sembra essere inattivo, in realtà è in crescita e la raccolta verrà come vuole Dio e al suo tempo. Cristo è venuto a seminare, ha inaugurato e in futuro verrà a raccogliere!###

Possiamo applicare i principi di semina, lasciar crescere, raccogliere, a tre aspetti:

  • nell'evangelizzazione, 
  • nella crescita personale, 
  • nella realizzazione del regno di Dio.

Per quanto siamo chiamati all'attività, la crescita non dipende da noi. Se lasciamo fare a Dio, ciò che abbiamo seminato porterà frutto. Le parole che diffondiamo possono trovare un terreno fertile e produrre senza che noi mai lo sapremo. Il continuo seminare nel nostro cuore con lo studio delle scritture farà crescere in noi il frutto dello spirito, un lavorio lento e costante che darà frutto quasi senza che ce ne accorgiamo ma trasformera la nostra vita dandole significato. 

Il regno si realizzerà secondo la volontà divina e sta già portando avanti il progetto, nonostante non ne vediamo le evidenze, un po come le radici che il seme emette sotto il terreno e i germogli che spuntano dal suolo. Non a caso Gesù in una profezia viene chiamato germoglio, infatti da lui, piccolo germoglio, cresce qualcosa che influirà nella vita di miliardi di persone e trasformerà l'intera terra. (Is. 11:1)

###Ecco allora l’insegnamento di Gesù: occorre meravigliarsi del regno che si dilata sempre di più, anche quando noi non ce ne accorgiamo, e di conseguenza occorre avere fiducia nel seme e nella sua forza. E il seme è la parola che, seminata dal predicatore, darà frutto anche se lui non se ne accorge né può verificare il processo: di questo deve essere certo! Nessuna ansia pastorale, ma solo sollecitudine e attesa; nessuna angoscia di essere sterili nel predicare: se il seme è buono, se la parola predicata è parola di Dio e non del predicatore, essa darà frutto in modo anche invisibile. Questa la certezza del “seminatore” credente e consapevole di ciò che opera: la speranza della mietitura e del raccolto non può essere messa in discussione.

Segue un’altra parabola, sempre sul seme, ma questa volta su un seme di senape. Gesù è veramente un uomo intelligente e sapiente, e anche in questa parabola le sue parole mostrano come egli non fosse mai distratto, ma tutto e tutti vedesse e pensasse. Egli sa bene che il chicco di senape è tra i semi più minuscoli, non più grande di un granello di sale; eppure anch’esso, se seminato in terra, diventa un albero che si impone. Sembra impossibile che da un seme così minuscolo possa derivare un albero tanto rigoglioso: anche qui c’è dunque da stupirsi, da meravigliarsi! Eppure proprio ciò che ai nostri occhi è piccolo, può avere una forza impensabile per noi umani… Ecco, infatti, che il seme di senape sotto terra marcisce, germoglia, poi spunta e cresce fino a essere un arbusto sulle cui fronde gli uccelli possono fare il nido. Qui Gesù allude certamente a quell’albero intravisto da Daniele, simbolo del regno universale di Dio (cf. Dn 4,6-9.17-19). Sì, anche questa parabola vuole comunicarci qualcosa di decisivo: la parola di Dio che ci è stata donata può sembrare piccola cosa, rivestita com’è di parola umana, fragile e debole, messa in bocca a uomini e donne poveri, non intellettuali, non saggi secondo il mondo (cf. 1Cor 1,26). Eppure quando essa è seminata e predicata da loro, proprio perché è parola di Dio contenuta in parole umane, è feconda e può crescere come un albero capace di accogliere tante creature.

Risultati immagini per parabola seme senapeQueste parabole ci devono interrogare sulla nostra consapevolezza della parola di Dio che ci è data e che noi dobbiamo seminare, sulla nostra visione del Regno come realtà di piccoli e di poveri, realtà di un “piccolo gregge” (Lc 12,32), che può divenire una raccolta delle genti del mondo intero, in cammino verso il regno di Dio veniente per tutti. Ma pensiamoci un momento: chi pronunciava queste parabole era un oscuro laico di Galilea, non sacerdote e neppure rabbino formatosi in qualche scuola riconosciuta a Gerusalemme o lungo il lago di Galilea. E con lui c’era una comunità itinerante che lo seguiva: una dozzina di uomini e poche donne senza cultura; una realtà piccola e oscura ma significativa. Allora, perché avere timore di essere noi cristiani una minoranza oggi nel mondo? Basta che siamo significativi, cioè che crediamo alla potenza della parola di Dio, che la seminiamo con umiltà e molta pace, senza angoscia né frenetica attesa di vedere i risultati…###
Dal sito: Monastero di Bose

Mi ha colpito particolarmente questo commento per il suo ripetere una parola che abbiamo adottato per identificarci: cristiani consapevoli. La consapevolezza non appartiene solo a noi con un vissuto da tdG, ma ad ogni cristiano che ad un certo punto si rende conto di dover diventare discepolo di Cristo e non di una religione. Siamo come bambini che iniziano a camminare con le proprie Gambe anziché affidarsi a qualche tutore. Eppure quel tutore ha avuto la sua importanza affinché imparassimo a muovere i primi incerti passi, affinché prendessimo in mano le scritture e ne comprendessimo il valore.  Come tutori le varie denominazioni cristiane hanno contribuito a tradurre e diffondere il seme del regno ma purtroppo nel tempo sono divenute gelose del proprio lavoro e hanno cercato di mantenere bambini i piccoli loro affidati. Ecco che diventa importante cominciare a nutrirci in modo indipendente per non rimanere bambini sempre bisognosi che qualcun'altro provveda alle nostre necessità. Come possiamo crescere? Continuando a cercare, bussare, chiedere, cercando di muovere passi nuovi, non di ribellione o rabbia ma di consapevole maturità, da bambini diverremo prima adolescenti ancora incerti ma poi uomini fatti, in grado di distinguere il bene e il male, in grado di applicare i principi anche senza un tutore pronto a dettarci regole o a correggerci.

Eb. 5:13 Infatti chi continua a nutrirsi di latte non conosce la parola della giustizia, perché è bambino.+

14 Ma il cibo solido è per le persone mature, per coloro che con l’uso hanno allenato la propria facoltà di giudizio* a distinguere il bene dal male.
Cap. 4,30-34

* Diceva ancora: A che paragoneremo noi il regno di Dio, o con quale parabola lo raffigureremo? *A un chicco di senapa: quando si semina nel terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sopra la terra; * ma appena seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi e mette rami così grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra. *E con molte di queste parabole esponeva loro la parola secondo che erano in grado di intendere.*E non parlava loro senza parabole, ma in privato spiegava ogni cosa ai suoi discepoli.

Adesso la scena si sposta. Gesù e i suoi apostoli hanno passato una giornata intensa in compagnia delle folle, spesso non c'era nemmeno il tempo per mangiare, tutti accorrevano per ricevere conforto e guarigione, sappiamo che Gesù si rendeva conto che della potenza usciva da lui (5:30), quindi doveva essere stanco. Chiede agli apostoli di spostarsi attraverso il mar di Galilea, un sistema semplice per allontanarsi dalla folla che congeda. Si addormenta, stanco del lavoro svolto ma anche fiducioso che nulla di male sarebbe accaduto, Dio era con lui. Sal.23:4.

Non è così per gli apostoli, benché abili marinai si ritrovano a combattere con un improvvisa e violenta tempesta che in quell'ambiente, un lago sotto il livello del mare circondato da montagne, poteva davvero far paura. Nonostante avessero visto decine, centinaia di miracoli di fronte alla tempesta la loro fede viene meno e svegliano Gesù allarmati dal pericolo. Non chiedono cosa fare ma quasi lo accusano di questa situazione angosciosa: " Maestro, non t'importa che noi andiamo perduti?" Un rimprovero, come dire, hai salvato le folle oggi e lasci noi nel pericolo? Basta poco a Gesù per calmare le acque e il vento ma fa un inquietante domanda ai suoi discepoli: " Perché avete paura? Non avete ancora fede?"

Sì pensa a Pietro che affondando implorò il maestro ma qui tutti loro fecero la stessa cosa ed ebbero lo stesso rimprovero. La loro fede non era ancora abbastanza forte e di fronte ad una prova vennero meno, ma seppero a chi rivolgersi. Ci accade spesso di sentir venir meno la fede, a volte le tempeste della vita ci spaventano e sconvolgono così tanto da arrivare a chiederci se a Dio importa di noi. Se davvero ci ama o forse i pericoli, le lotte, i problemi che affrontiamo non siano la dimostrazione che siamo soli, abbandonati. Non scoraggiamoci, anche i discepoli vennero meno ma Gesù non li abbandonò. Li considerò ciò nonostante suoi amici e uomini maturi affidandogli in seguito la cura dell'ekklesia.  In realtà il vero pericolo non è continuare a farci domande e cercare aiuto ma credere di essere arrivati e non aver bisogno d'altro. Pensare di aver tutto compreso, magari guardando con alterigia chi secondo noi ancora non ha capito. Come vediamo i nostri fratelli non consapevoli? Li vediamo con amorevole compassione o con disprezzo? 

Anche dopo aver visto questo ennesimo, grande miracolo essi si concentrano sul punto sbagliato. Anziché rinnovare la fiducia in lui ne hanno timore e si chiedono chi mai sia da poter persino comandare al vento e al mare. 

E io mi immagino che nelle stesse condizioni, di fronte a un miracolo, avremmo la medesima reazione di spavento...

Cap. 4,35-41
*Venuta la sera di quel giorno, disse loro: Passiamo all’altra riva. *Essi, congedata la folla, lo condussero, così com’era, nella barca. Vi erano anche altre barche intorno a lui. *E si levò un turbine impetuoso di vento che spingeva le onde nella barca e già ne era piena. *Egli a poppa, sopra un guanciale, dormiva. Lo destarono e gli dissero: Maestro, non ti importa che noi andiamo perduti? *Egli svegliatosi, comandò al vento e disse al mare: Taci! Quietati! Il vento cessò, e si fece una grande calma. *E disse loro: Perché siete così paurosi? Come mai non avete fede? *Essi, presi da timore grande, dicevano gli uni gli altri: Chi è dunque costui che perfino il vento e il mare gli ubbidiscono?

6 commenti:

  1. Ci sono molti aspetti interessanti, forse un po troppi. Non era meglio tagliarlo in due?

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  2. Ci ho pensato in effetti, ma in fondo è solo un commento, un semplice spunto per invitare ad ulteriori riflessioni. Sarebbe bello che chi legge lo arricchisse con ulteriori commenti.
    Tutti possiamo condividere i nostri talenti per partecipare alla tavola comune della fratellanza!

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  3. Grazie Barnaba per il tuo spunto di riflessione. Vorrei fare una piccola riflessione su un passaggio che a me è piaciuto molto e cioè sull'essere cristiani consapevoli. Come hai evidenziato ogni cristiano deve essere seguace di Cristo e non di una religione e deve imparare a nutrirsi in maniera indipendente per non rimanere bambini, senza avere sempre qualcuno che ci dica o che ci imponga magari cosa pensare cosa dire e cosa fare. In effetti se ci sentiamo seguaci di Cristo la più grande libertà di cui possiamo godete é proprio quella di servire Dio e suo figlio. Le tue riflessioni mi hanno riportato alla mente alcune parole dette da Franz nel suo libro crisi di coscienza. Ad esempio:"Solo accresciuta consapevolezza dell'amicizia di Dio e di quella di suo Figlio possono compensare tutte le altre relazioni e porle in una giusta prospettiva in considerazione del loro relativo valore. Anche se ci vorrà del tempo, ci sono buone ragioni per sperare di trovare altre amicizie, se si è disposti a fare i necessari sforzi. Ed è probabile che esse si mostreranno più durevoli in quanto il sentimento dichiarato si fonderà non sull'appartenenza ad un'organizzazione, una sorta di spirito di corpo, ma su ciò che uno è realmente come persona,sulle qualità cristiane manifestate, sulle manifestazioni del proprio cuore".
    Queste parole mi hanno anche fatto riflettere sull'amore genuino che scaturisce dall'essere veri cristiani di Gesù. Proprio come lui, non mostriamo amore in virtù di una qualche appartenenza ad un'organizzazione religiosa, per quanto queste possano in certi casi compiere sforzi lodevoli, la dobbiamo farlo con l'intento di seguire il nostro maestro il quale non amava i discepoli perché erano ebrei ma perché imparando a conoscerli li considerava amici, ne apprezzava la sincerità la spontaneità e, come hai fatto notare tu non li abbandonó quando le loro parole e le loro azioni dimostravano immaturità e mancanza di fede. Anzi quelli erano i momenti in cui egli era più vicino ai suoi amici non mancando mai di rassicurarli e di rinnovargli il suo affetto. L'immagine di Gesù che tende la mano a Pietro mentre questi affonda a causa della sua mancanza di fede è emblematica. Gesù non lo lascia da solo. Avrebbe potuto pensare che quelle erano le conseguenze delle sue azioni e forse si meritava di essere li da solo a lottare affannosamente per rimanere a galla. Gesù non fece niente di tutto questo e prima ancora di impartire una lezione a Pietro, la scrittura dice che Gesù tese immediatamente la mano a Pietro. Tutto questo mi ha fatto riflettere. Grazie

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    1. Bravo Matrix, quello che speravo è proprio di portare il lettore ad ulteriori riflessioni. La fiducia nel Cristo che ci afferra e non ci abbandona, non ci biasima è un aspetto importante.
      Tanto più noi dovremmo concentrarci più sull'amare anziché criticare i nostri fratelli, anche se inconsapevoli.

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  4. Grazie Barnaba ottime considerazioni sulla consapevolezza e il senso di religiosità. Io vedo un’umanità in crisi che non ha speranza se continua a fare affidamento ad organizzazioni umane a cui delegare la fede ma anche le dimostrazioni di fede.
    Ad aronne l’oro per costruire il vitello glielo ha dato il popolo erano loro che l’acclamavono a gran voce... tutto questo per dire che l’organizzazione è un po’ anche questo ci sono molti che la vogliono esattamente così.

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  5. Purtroppo è facile cadere nel delegare le responsabilità. Seguire un gruppo o qualche leader anziché tracciare un personale percorso.
    È giusto confrontarsi, imparare dagli altri, ma c'è un limite, non dovremmo dare in mano ad altri la nostra fede nè la nostra responsabilità personale.
    Imparare da tutti ma non dipendere da nessuno se non da Dio.

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Grazie per il commento.