Passare agli estremi opposti dopo che si è presa una bella batosta o “na mezza sola” come quella che ci ha rifilato la WTS è un rischio concreto e comprensibile. Succede sovente a chi è stato tradito dal coniuge e quindi almeno per un periodo tenderà a pensare sempre il peggio di chiunque appartenga al sesso opposto. Per quanto si tratti di una reazione istintiva e comprensibile, non vi è dubbio che, se portata all’estremo e mantenuta per un tempo indefinitamente lungo, tale attitudine finisca per divenire autolesionista facendo sì che alla beffa (della WTS) si aggiunga il danno (auto provocato).
Venendo al tema del Diluvio, se si sia trattato di un fenomeno universale o locale non lo si può determinare leggendo il racconto di Genesi, soprattutto quando si tiene conto delle possibili sfumature di significato che può assumere l’ebraico antico in cui fu scritto (vedi per esempio la particolare accezione del termine tradotto terra, come Gatto ben spiegò con un post a suo tempo) e del contesto culturale del periodo a cui il racconto si riferisce.
Se ci fu realmente un Diluvio (inteso come castigo che richiese l’intervento soprannaturale di Dio) la magnitudine di tale evento non altererebbe il significato che le Scritture gli attribuiscono a meno che non lo si voglia declassare ad un semplice pediluvio.
A traballare potrebbero essere semmai alcune interpretazioni della WTS, ma questa non sarebbe una notizia sconvolgente per chi ha già intrapreso il cammino della consapevolezza.
Se invece si pensa che tale avvenimento non sia mai accaduto e che il racconto biblico sia semplicemente un’allegoria o qualcosa di assimilabile a nulla più che una parabola, a mio parere si pone in discussione, non solo la credibilità della Bibbia, ma anche quella di Gesù e di altri scrittori biblici (quali ad esempio l’apostolo Pietro) che senza ombra di dubbio considerarono il Diluvio come un fatto storico realmente accaduto.
Il dibattito generale sull’ispirazione della Bibbia è molto interessante, ma difficile da abbordare in uno spazio come questo e soprattutto improponibile senza alcune premesse fondamentali che aiutino a inquadrare nel giusto contesto tanto le incongruenze di chi crede come quelle di chi ha smesso credere nell’ispirazione della Bibbia. Per questo mi limiterò in questo post a cercare di spiegare cosa, a mio parere, poteva voler dire Pietro quando prese il Diluvio come modello in 2 Pietro 3:5-7.
Come buona norma vuole, esaminiamo innanzitutto il contesto. I primi due versetti del capitolo ci aiutano a capire a quale tempo Pietro si riferiva:
2 Pietro 3:1,2
“Diletti, questa è ora la seconda lettera che vi scrivo, nella quale, come nella prima, desto le vostre chiare facoltà di pensare alla maniera di un rammemoratore, affinché ricordiate le parole dette in precedenza dai santi profeti e il comandamento del Signore e Salvatore per mezzo dei vostri apostoli.”
Con questa frase introduttiva Pietro si ricollega alla sua prima lettera. I versetti che seguono sono quindi in sostanza una ripetizione o servono quali rammemoratori di quanto già espresso in precedenza.
Specialmente nel capitolo 4 della prima lettera troviamo attinenza di argomenti con il capitolo 3 della seconda lettera.
Per esempio, in 1 Pietro 4:4,5 ci si riferisce a coloro che avrebbero schernito i cristiani e si menziona la loro fine:
“Poiché non continuate a correre con loro in questo corso allo stesso basso livello di dissolutezza, sono perplessi e parlano ingiuriosamente di voi. Ma questi renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti.” (confronta con 2 Pietro 3:3,4)
Nella sua prima lettera a quale tempo si riferiva Pietro e a quale giudizio?
In 1 Pietro 4:7,17 troviamo elementi chiari che ci aiutano a stabilirlo:
“Ma la fine di ogni cosa si è avvicinata. Siate di mente sana, perciò, e siate vigilanti in vista delle preghiere.”
“Poiché è il tempo fissato perché il giudizio cominci dalla casa di Dio. Ora se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non sono ubbidienti alla buona notizia di Dio?”
La fine di cui Pietro parlava era quella del sistema giudaico dei suoi giorni e il giudizio a cui si riferiva era quello che si sarebbe abbattuto su Gerusalemme nel 70 E.V.
Nessun’altra interpretazione è possibile senza che l’imminenza e il senso di urgenza che traspaiono da questi versetti risultino ingannevoli nei confronti di quei cristiani che, in base alla promessa di Pietro, si attendevano la fine nel loro tempo.
Gli ultimi giorni menzionati in 2 Pietro 3:3 (alla pari degli ultimi giorni di 2 Timoteo 3:1-6) sono perciò gli ultimi giorni di quel sistema che era prossimo a sparire determinando anche la fine completa del vecchio patto e il passaggio definitivo al Nuovo Patto.
Non dovrebbero trarre in inganno le parole di 2 Pietro 3:8:
“Comunque, non sfugga alla vostra attenzione questo solo fatto, diletti, che un giorno è presso Geova come mille anni e mille anni come un giorno.”
Secondo l’interpretazione della WTS, questo versetto giustificherebbe un salto temporale e un’attesa di millenni in base al fatto che agli occhi di Dio “mille anni sono come un giorno”. Non credo però che questo fosse il concetto che Pietro voleva trasmettere. Egli, infatti, cita il Salmo 90:4. Aggiunge però, prima della citazione, una frase che nel Salmo non si trova e che è il vero punto principale che voleva evidenziare: “un giorno è presso Geova come mille anni” (in greco abitualmente l’idea principale si esprimeva per prima).
Volendo enfatizzare il concetto di una fine imminente, Pietro prese spunto dal Salmo per rafforzare la sua esortazione: badate bene, fratelli, che se mille anni agli occhi di Dio sono come un giorno (come dice il Salmo), è vero anche il contrario, vale a dire che un giorno per Geova è come mille anni. Dio avrebbe quindi potuto portare la fine di quel sistema in qualsiasi momento, perché ai suoi occhi aveva già durato anche troppo. Che questo sia il significato lo dimostra il successivo versetto 9:
“Geova non è lento riguardo alla sua promessa, come alcuni considerano la lentezza, ma è paziente verso di voi perché non desidera che alcuno sia distrutto ma desidera che tutti pervengano al pentimento.”
Pietro, usando il pronome “voi, si riferiva ai cristiani che avrebbero letto la sua lettera in quel tempo e che potevano divenire impazienti in attesa dell’adempimento delle parole di Gesù relative alla distruzione di Gerusalemme e alla ricompensa che era stata loro promessa.
Qual’è dunque il significato delle parole riportate nel versetto 10?
“Tuttavia il giorno di Geova verrà come un ladro, in cui i cieli passeranno con rumore sibilante, ma gli elementi, essendo intensamente caldi, saranno dissolti, e la terra e le opere che sono in essa saranno scoperte.”
“Il giorno di Geova”, in armonia con quanto detto in precedenza, si riferisce al giudizio incombente su Gerusalemme (vedi Atti 2:20 dove lo stesso Pietro segnala il versamento dello spirito santo come indicazione dell’imminenza del “giorno di Geova”).
La parola tradotta “elementi” in greco ha il seguente significato: le cose basilari o fondamentali che tengono in piedi un sistema (Vedi Galati 4:3,9, Colossesi 2:8,20, Ebrei 5:12). Pietro poteva quindi riferirsi correttamente ai regolamenti e alle ordinanze della Legge, oltre a quelli imposti dalle autorità civili che mantenevano in piedi la società di quel tempo, dicendo che sarebbero stati dissolti.
Per quanto riguarda il riferimento alla terra e al cielo, la TNM è costretta a fare un improbabile esercizio di equilibrismo per cercare da un lato di applicare il versetto ai giorni nostri, e dall’altro di nascondere il fatto che alla fine del versetto si parla di bruciare in senso letterale. La TNM traduce “scoperte”, in pressoché solitaria controtendenza rispetto alle diverse traduzioni bibliche che rendono correttamente la parola greca katakaío con il termine “arse” o “bruciate”.
Eliminare cieli e terra per far posto a nuovi cieli e nuova terra era un’espressione idiomatica che veniva comunemente usata dagli Ebrei per indicare un completo stravolgimento o un totale cambio di sistema.
In armonia con l’uso delle parole cieli e terra che ne viene fatto in Isaia 51:16, il sistema giudaico sotto il patto della Legge rappresentava il cielo e la terra che sarebbero passati per far posto al Nuovo Patto o nuovi cieli e nuova terra. Vedi anche Deuteronomio 32:1, Iasaia 13:13, Geremia 4:22,23, Aggeo 2:21,22.
In Ebrei 12:26-29 si fa un simile riferimento alla distruzione totale del sistema giudaico e all’introduzione di qualcosa di nuovo menzionando anche in quel caso cieli, terra e fuoco come elemento di distruzione.
Oltre a questo, il tempio di Gerusalemme era per gli Ebrei una rappresentazione simbolica del congiungimento fra il cielo è la terra, in base a versetti come il Salmo 78:69:
“Ed edificava il suo santuario proprio come le altezze, come la terra che ha fondato a tempo indefinito.”
Il Santissimo era ovviamente la rappresentazione simbolica del cielo mentre il resto rappresentava diversi aspetti della terra.
Quando il tempio venne incendiato dai Romani, nel 70 E.V., cieli e terra che rappresentavano il vecchio patto vennero distrutti e letteralmente bruciati o dissolti, come predetto in 2 Pietro 3:12:
“Aspettando e tenendo bene in mente la presenza del giorno di Geova, mediante cui [i] cieli essendo infuocati saranno dissolti e [gli] elementi essendo intensamente caldi si fonderanno!”
Nel suo libro “70 d.C. La conquista di Gerusalemme” al Capitolo 22, lo storico Giovanni Brizzi scrive:
“Preoccupato per le perdite subite, Tito ordinò di appiccare il fuoco alle porte del Tempio. Mentre l’argento che le rivestiva fondeva al calore, le fiamme si propagarono a quanto restava dei portici, sicché l’incendio durò un giorno intero, il 9 di Loos, e tutta la notte successiva”.
Secondo quanto riporta lo storico Giuseppe Flavio, la ragione per cui i romani non lasciarono pietra sopra pietra (adempiendo in tal modo la profezia di Gesù relativa al tempio) ebbe a che fare con il desiderio dei soldati di recuperare l’oro e l’argento che, essendosi fusi, erano quindi discesi all’interno delle cavità delle pietre che servivano da fondamento del tempio.
In conclusione, credo che Pietro si riferisse al Diluvio come fatto storico realmente accaduto e come modello di distruzione letterale decretata da Dio mediante l’acqua (che segnò la fine di un sistema e l’inizio di un altro) per riferirsi profeticamente all’altrettanto letterale giudizio divino che portò alla distruzione della città di Gerusalemme (mediante il fuoco questa volta).
In questo parallelo non vedo perciò nessuna incongruenza, vedo anzi una perfetta simmetria.