A proposito dell’attitudine a negare l’evidenza, la psicologia ci dice alcune cose interessanti.
Negare l’evidenza è una reazione primitiva e immatura: non ci aiuta a governare la realtà nel medio-lungo periodo, e non la cambia. Piuttosto, provando a cancellarla, la maschera o la nasconde, rischiando di renderla nel tempo ancora più ingestibile. Eppure, è irresistibile, almeno per la maggior parte: fare finta che tutto vada bene. Scambiare gli elefanti per libellule.
Negare sempre quindi. Negare l’evidenza soprattutto. Con la speranza, o la convinzione, di riuscire a farla franca. Di uscire vittoriosi da quella scommessa, fatta il più delle volte anche solo con sé stessi, sul fatto che tutto andrà bene, e che col tempo l’elefante andrà via.
Sbagliato. Col tempo l’elefante crescerà, e sarà solo più complicato da gestire. Negare l’evidenza diventerà sempre più difficile.
Secondo Zerubavel la spirale della negazione è infatti destinata a trasformarsi in “cospirazione del silenzio”.
L’unico modo per farsi spazio nel circolo vizioso è alzare bandiera bianca di fronte ai continui assalti della realtà. La faticosissima pratica della negazione può infatti condurre alla minimizzazione del problema o all’apatia verso il contesto, ma mai alla risoluzione, anzi.
Andersen nella fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” insegna che prima o poi la verità si paleserà agli occhi di tutti. E che lo farà nel peggiore dei modi possibili.
Segreti dunque visibili, ma non riconosciuti, alimentano l’elefante nella stanza ed evitano che si trasformi in uno scheletro dentro l’armadio. Perché la negazione delle realtà, sociali o personali, non è mai una favola. Ma piuttosto una mano che scosta la tenda per vedere, ma decide di non guardare.
Dalla vita privata a quella politica, le pressioni sociali fanno sì che le persone neghino “ciò che è giusto” davanti ai loro occhi. La negazione di uno è simbioticamente integrata da quello dell’altro e i silenzi diventano immensi, sempre sotto gli occhi di tutti. Ogni elusione innesca una spirale di negazione ancora maggiore: più a lungo ignoriamo gli elefanti nella stanza, più grandi diverranno nelle nostre menti.
Seppur amara dunque la realtà è, dal punto di vista sociologico, l’unico mezzo per trasformare la proboscide in alicorno, sconfiggere il silenzio, aprire la stanza e galoppare leggeri, lontani dalla trappola della negazione.
Quand'anche decidessimo di buttare giù tutto mettendo davvero in crisi gli affetti più cari che abbiamo causato dal nostro nuovo percorso io comunque un minimo di valutazione oggettiva anche di me stesso la farei.
Questa autocritica è necessaria per essere oggettivi nell'ammettere che un conto è non accorgersi dell'elefante nella stanza e quello abbiamo visto che è un problema in cui possiamo incappare, un altro conto è quello di essere stati noi a voler a tutti i costi che l'elefante entrasse nella nostra vita e vivesse con nostra moglie e i nostri figli. In pratica dobbiamo valutare quanta responsabilità abbiamo nell'aver accettato questa situazione e se per caso viene fuori che non avevamo alternative o abbiamo fatto un errore di valutazione pacchiano come quello di non vedere l'elefante, forse dobbiamo fare uno sforzo in più per non gravare ancora una volta nelle scelte sbagliate che abbiamo fatto.
Quelli che decidono di distruggere tutto in alcuni casi si sentono in una gabbia senza via di uscita ma non è così.