domenica 9 novembre 2025

L’approvazione di Dio: un cammino personale oltre l’organizzazione

 

Quando l’appartenenza all’organizzazione religiosa dei Testimoni di Geova viene indicata come l’unico sentiero verso la salvezza, il dubbio può trasformarsi in una profonda crisi spirituale. Sempre più persone si ritrovano a chiedersi, come fece Pietro: «Signore, da chi ce ne andremo?» (Giovanni 6:68). Se la salvezza dipende da un’organizzazione umana, cosa accade quando la fiducia in essa vacilla? Dove si può andare, se il cammino sembra legato a una struttura che non si riconosce più?

Questo studio esplora la relazione tra Dio e l’uomo così come narrata nella Bibbia, spostando l’attenzione dall’appartenenza formale a un’organizzazione verso il cuore e il desiderio autentico di servire Dio.


Le fasi dell’organizzazione di Dio nella Bibbia

La Bibbia descrive diverse fasi in cui Dio ha interagito con il suo popolo attraverso strutture organizzative:

L’antico Israele

- Dopo l’uscita dall’Egitto, Dio stabilì un’alleanza con Israele tramite Mosè.

- Il popolo ricevette leggi e istruzioni dettagliate.

- La guida teocratica avveniva tramite re, sacerdoti e profeti.

La congregazione cristiana del I secolo

- Con la risurrezione di Gesù, nacque la congregazione cristiana.

- I cristiani si riunivano in gruppi locali, guidati da apostoli e anziani.

- I diaconi offrivano assistenza pratica, mentre profeti e profetesse contribuivano

all’edificazione spirituale.

La posizione dei Testimoni di Geova

- I Testimoni credono che dal 1919 Gesù abbia scelto la loro organizzazione come

unica guida spirituale.

- Il Corpo Direttivo si definisce “canale di Dio” e “custode della verità”.

- Anziani e servitori di ministero sono subordinati al Corpo Direttivo, che agisce come

governo centrale.


L’approvazione divina: oltre le strutture

La Bibbia mostra che Dio ha sempre guardato oltre le formalità, approvando individui per la

loro devozione sincera:

Patriarchi: fede senza organizzazione

- Abraamo, Isacco e Giacobbe non appartenevano a un’organizzazione religiosa.

- Abraamo fu chiamato “amico di Dio” (Giacomo 2:23) per la sua fede.

- La benedizione divina fu personale, non istituzionale.

Giobbe: fede fuori da Israele

- Giobbe non era israelita, ma Dio lo definì “integro e retto” (Giobbe 1:8).

- La sua relazione con Dio era personale, basata su integrità e timore.

Davide: approvato anche lontano dalla struttura formale

- Durante la sua fuga da Saul, Davide si rifugiò in territori esterni ai confini di Israele,

come Moab e Filistea (1 Samuele 22-27). Nonostante l’esilio e l’allontanamento

geografico, la sua approvazione divina non venne meno.

- Davide dimostrò lealtà verso Dio continuando a combattere i nemici di Israele

e a seguire la guida divina. La sua condotta rivelò un cuore fedele.

- L’approvazione divina non dipende dalla posizione geografica o

dall’inclusione formale in una struttura, ma dalla fedeltà vissuta con integrità.

Salomone: l’apostasia e la perdita dell’approvazione

- Pur essendo re d’Israele, Salomone fu disapprovato per l’idolatria (1 Re 11:4-6).

- Anche chi lo seguì nell'apostasia fu disapprovato.

- Far parte del popolo di Dio è un privilegio, non una garanzia.


Fedeltà oltre i confini: l’approvazione divina anche lontano dalla terra d’Israele

Anche al tempo della nazione d’Israele, considerata l’organizzazione di Dio, un israelita o un proselito poteva trovarsi al di fuori del territorio nazionale per motivi personali, esili, guerre o missioni. Pur non potendo partecipare fisicamente alle pratiche collettive come le feste annuali come la Pasqua (Esodo 12), la Festa delle Settimane o Pentecoste (Levitico 23:15-21), e la Festa delle Capanne (Levitico 23:34-43), la sua relazione con Dio poteva rimanere viva e approvata.

La Scrittura mostra che chi era lontano poteva comunque:

- Mantenere una condotta retta e conforme alla legge divina.

- Pregare rivolgendosi verso il tempio di Gerusalemme, come fece Daniele in esilio: «Quando Daniele seppe che il decreto era stato firmato, entrò in casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e rendeva grazie al suo Dio, come faceva prima» Daniele 6:10.

- Dimostrare lealtà e timore di Dio anche in contesti ostili.

Questo dimostra che l’approvazione divina non era vincolata alla presenza fisica all’interno dell’organizzazione, ma al cuore sincero e alla volontà di servire Dio con ciò che si aveva a disposizione. L’appartenenza geografica era un privilegio, ma non una condizione assoluta per ricevere il favore divino.


L’organizzazione di Dio: strumento temporaneo e la sua caduta”

La storia dell’antico Israele dimostra chiaramente che l’organizzazione religiosa, pur voluta da Dio, non era il fine del suo progetto. Era un mezzo per aiutare il popolo a conoscerlo, servirlo e prepararsi all’arrivo del Messia. Tuttavia, quando l’organizzazione si allontanò dalla giustizia e dalla fedeltà, Dio non esitò a permetterne la distruzione: prima con l’esilio a Babilonia, poi con la dispersione sotto Roma.

Questi eventi rivelano una verità profonda: la salvezza non risiede nella struttura, ma nella relazione personale con Dio. Anche una struttura divina può cadere se non riflette più il suo spirito. L’approvazione divina non è garantita dall’appartenenza, ma dalla sincerità del cuore.

“Non vi è in sé salvezza in una struttura, anche se è quella di Dio.”


Gesù e il primo secolo: approvazione oltre l’appartenenza

Nel Vangelo di Marco, un uomo compie miracoli nel nome di Dio senza seguire direttamente Cristo (Marco 9:38-40). Gesù risponde: «Chi non è contro di noi è per noi». Questa affermazione ribadisce che l’approvazione divina non dipende da strutture umane, ma dalla sincerità del cuore.


Perché Cristo ha permesso l’apostasia della sua Chiesa?

La caduta nell’apostasia della Chiesa primitiva fu una conseguenza della libertà umana. Cristo, fondatore della Chiesa, non ha mai imposto la fedeltà: ha insegnato, ha amato, ha chiamato. Ma ha lasciato che gli uomini scegliessero. Come accadde con Israele, anche la Chiesa del primo secolo fu uno strumento, non il fine. Quando la struttura smise di riflettere lo spirito di Cristo, la sua purezza si deteriorò.


Dopo l’apostasia: nessuna nuova organizzazione?

- Dopo il primo secolo, non vi è evidenza biblica che Gesù abbia fondato una

nuova organizzazione religiosa.

- I cristiani furono chiamati tali ad Antiochia (Atti 11:26) non per appartenenza a una

struttura, ma per la loro fedeltà a Cristo.


Io sono con voi tutti i giorni”: la promessa e i chicchi di grano dispersi


«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del sistema di cose.» (Matteo 28:20)

Questa promessa di Gesù è universale, rivolta a tutti coloro che lo seguono con sincerità, ovunque si trovino. Nella parabola del grano e delle zizzanie (Matteo 13:24-30), Gesù insegna che i veri servitori di Dio cresceranno mescolati agli ingiusti fino alla mietitura finale.


Esempi storici di chicchi di grano

Nel corso dei secoli, molti hanno cercato Dio con cuore sincero, dentro e fuori le istituzioni religiose.

John Wycliffe: luce nel buio del Medioevo

- Teologo inglese (1330–1384), precursore della Riforma protestante.

- Sostenne che la Bibbia doveva essere accessibile a tutti.

- Affermò che l’autorità spirituale risiedeva nella Scrittura, non nella gerarchia.

- Tradusse la Bibbia in inglese, fu perseguitato e dichiarato eretico postumo.


Domande che sfidano le pretese esclusive

- Se Cristo è con i suoi discepoli “tutti i giorni”, come può la sua presenza dipendere da un’organizzazione umana?

- Se Dio ha sempre benedetto chi lo cerca con sincerità, perché oggi dovrebbe richiedere un’appartenenza formale?

- Se la separazione tra grano e zizzanie avviene solo alla fine, non significa forse che l’approvazione divina è personale e non istituzionale?


Le pretese esclusive delle organizzazioni religiose

Nel XX e XXI secolo, molte organizzazioni cristiane, inclusi i Testimoni di Geova, hanno rivendicato l’esclusività della salvezza. Tuttavia, le profonde differenze dottrinali tra queste strutture rendono evidente che Gesù non può accettarle tutte allo stesso modo.

La parabola del grano e delle zizzanie mostra che il giudizio finale non spetta a un’organizzazione umana. Sarà Cristo a riconoscere i veri chicchi di grano.


Conclusione: libertà spirituale e responsabilità personale

Secondo la Bibbia, Dio approva chi lo serve con sincerità. Le comunità possono aiutare, ma non stabiliscono chi è degno di salvezza. Per questo, un'organizzazione non deve mai "remare contro" i propri membri, allontanandosi dal suo scopo di supporto per danneggiarli o ostacolarli.

Charles Taze Russell, aveva inizialmente delle idee molto diverse in merito. In un articolo pubblicato ne La Torre di Guardia del 15/9/1895, egli scrisse infatti: “Guardatevi dall'organizzazione”. Essa non è per niente necessaria. Le norme bibliche sono le uniche di cui avete bisogno. Non cercate di vincolare le coscienze altrui, né consentite ad altri di limitare l'esercizio delle vostre. Credete ed obbedite a quanto riuscite a capire della Parola di Dio oggi, così continuerete a crescere nella grazia nella conoscenza e nell'amore giorno dopo giorno”.

Da Abraamo a Giobbe, da Daniele a Wycliffe, la storia sacra e quella umana mostrano che Dio ha benedetto chi lo ha cercato con verità, anche in solitudine e contro le istituzioni dominanti.

Gesù non ha mai invitato a seguire una struttura, ma ha detto: «Seguimi.» (Matteo 4:19)

La vera fedeltà consiste nel seguire Cristo con tutto il cuore, anche se questo significa camminare da soli. Perché: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del sistema di cose.» (Matteo 28:20)

Gesù disse che i veri servitori di Dio sarebbero cresciuti mescolati agli ingiusti fino alla mietitura: «Lasciate che crescano entrambi insieme fino alla mietitura.» (Matteo 13:30) Questo implica che non è un’organizzazione a separare i fedeli, ma Cristo stesso, al tempo stabilito.

E quando verrà il tempo della mietitura, i chicchi di grano saranno riconosciuti non per dove si trovavano, ma per come vivevano. «Il Signore conosce quelli che sono suoi.» (2 Timoteo 2:19)


"Seguire Cristo anche quando si cammina da soli"

La libertà spirituale oltre le strutture religiose

Quando la fiducia in un’organizzazione religiosa vacilla, il cuore del credente può trovarsi smarrito, come in un deserto spirituale. Questo accade anche nei Testimoni di Geova, dove la struttura è presentata come l’unico canale di salvezza. Ma quando si verifica una dissonanza cognitiva, tra ciò che si crede e ciò che si osserva, può nascere una crisi di coscienza profonda. È in quel momento che molti iniziano a chiedersi, come Pietro: «Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna.» (Giovanni 6:68).

La risposta non è “dove”, ma “da chi”. E quel “chi” è Cristo. «Io sono la via, la verità e la vita.» (Giovanni 14:6) «La verità vi renderà liberi.» (Giovanni 8:32)

Il giogo di Cristo, non quello degli uomini

Gesù non ha mai imposto un sistema religioso rigido. Al contrario, ha invitato a una relazione personale: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete su di voi il mio giogo, il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.» (Matteo 11:28-30)

Molti che lasciano l’organizzazione dei Testimoni di Geova lo fanno proprio per cercare quel ristoro, per fedeltà a Cristo. Continuano a edificare la loro fede, non più sotto il controllo di uomini, ma guidati dallo Spirito.

Raymond Franz: una voce dall’interno

Raymond Franz, ex membro del Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova, visse questa crisi in prima persona. Nel suo libro Crisi di coscienza, racconta come la lealtà a Cristo lo portò a mettere in discussione l’autorità umana. La sua uscita non fu un abbandono della fede, ma un ritorno alla semplicità del Vangelo.


Il disegno originale di Dio e il destino finale dell’umanità


Una verità fondamentale emerge dalla Genesi: quando Dio creò Adamo ed Eva, non istituì alcuna organizzazione religiosa per regolare il rapporto con Lui. La comunione era diretta, personale, fondata sull’amore e sull’obbedienza spontanea.

Questa condizione originaria sarà restaurata quando si compirà la “rivelazione dei figli di Dio” (Romani 8:19), cioè quando coloro che avranno superato la prova finale riceveranno la vita eterna sulla terra.

«Allora il Figlio stesso si sottometterà a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.» (1 Corinzi 15:28)

In quel tempo, l’unica autorità sarà quella del capofamiglia, e Dio sarà il centro di ogni relazione. Non ci sarà bisogno di strutture umane per mediare il rapporto con Lui, perché la sua presenza sarà piena, diretta e amorevole.


Post de il resiliente

domenica 2 novembre 2025

Indiana Jones e il Mistero del "Tetragramma rimosso"...

L’argomentazione della Watch Tower riguardo alla fedeltà delle Scritture è piuttosto contraddittoria. La loro posizione è situazionale e dipende da quale tesi vogliano sostenere.

Quando difendono l’affidabilità e l’incorruttibilità delle Scritture, affermano che «non ci sono omissioni importanti» (Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p. 64).
Ma quando viene chiesto loro perché abbiano inserito 237 volte il nome divino nel testo comunemente accettato del Nuovo Testamento , rispondono che lo hanno fatto perché «gli scribi rimossero il Tetragramma» senza lasciarne traccia (Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture – con riferimenti, p. 1564).
Nell’Appendice 1a (alla quale rispondiamo in questo scritto), p. 1133 della Traduzione Interlineare del Regno si legge: «Poiché le Scritture Greche Cristiane furono un’aggiunta ispirata e un complemento alle sacre Scritture Ebraiche, questa improvvisa scomparsa del nome divino dal testo greco sembra incoerente.»
È qui che la Watch Tower inizia a distorcere i fatti, perché in realtà la “scomparsa” non fu affatto “improvvisa”.
Per circa due secoli e mezzo prima dell’inizio della stesura del Nuovo Testamento, il Nome Divino non compariva più in nessuno dei manoscritti esistenti della Settanta (la traduzione greca delle Scritture Ebraiche). Al suo posto veniva scritto “Kyrios” (Signore).
L’articolo dell’Appendice nella KIT [Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures] poi pone una domanda condizionale: «Se i cristiani devono essere un popolo per il nome di Dio, perché il suo nome, rappresentato dal Tetragramma, dovrebbe essere abolito dalle Scritture Greche Cristiane?» È una frase abilmente formulata, perché conferma implicitamente l’idea della Watch Tower secondo cui i cristiani dovrebbero essere conosciuti attraverso il Nome Divino, anziché con la denominazione biblica di “cristiani”, e che tale Nome sarebbe stato arbitrariamente cancellato dal Nuovo Testamento.
Tuttavia, non esiste alcuna prova diretta che il Nome Divino sia mai stato rimosso dal Nuovo Testamento.
Allo stesso modo, non c’è alcuna prova diretta che esso sia stato cancellato da qualunque copia della Settanta.
La Watchtower poi giustamente osserva che le copie più antiche conosciute della LXX contengono il Nome Divino — e presenta questo fatto come una sorta di colpo di scena o “prova schiacciante”. Ma si tratta in realtà di un classico argomento fantoccio (straw man) da parte della Watchtower. Perché?
L’Appendice costruisce un falso presupposto su ciò che la Chiesa cristiana crederebbe, e poi lo “smentisce”! La frase in questione è: «Si è a lungo pensato che la ragione dell’assenza del nome divino nei nostri manoscritti esistenti fosse che esso mancava nella Settanta greca.»
In realtà, la ragione principale per cui non si crede che il Nome Divino appaia nel Nuovo Testamento è che è assente da tutte le copie esistenti del Nuovo Testamento! Affermare che il nome non si trova nelle copie successive della LXX è solo un argomento secondario. Ma la Watchtower evita abilmente di riconoscere questo fatto.

La discussione prosegue a pagina 1134 del KIT, dove “dimostrano” che dodici frammenti della più antica Settanta (LXX) esistente contenevano il Nome Divino. Da ciò, concludono e proclamano: “Questo prova che l’originale LXX conteneva il nome divino ovunque esso appariva nell’originale ebraico.” Tuttavia, questa deduzione della Watchtower non segue logicamente. L’unica cosa che dimostra è che una copia della Settanta, datata intorno al 200 a.C., conteneva il Nome Divino. Non esistono copie dell’originale LXX, quindi è impossibile affermare con assoluta certezza che l’originale includesse il Nome Divino — anche se è possibile che fosse così. È altrettanto possibile che il Nome Divino fosse presente in tutta la copia della LXX a cui appartenevano quei dodici frammenti, ma non si può affermare con certezza. Questo è un metodo tipico della Watchtower: trovano una possibilità e poi la presentano come una certezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ma non è così che si fa ricerca accademica critica.

L’Appendice formula poi un’altra affermazione: che Gesù avesse effettivamente a disposizione copie della LXX contenenti il Nome Divino, e come “prova” citano Girolamo, il quale nel “quarto o quinto secolo” avrebbe detto di aver visto copie con il Nome Divino. Ma anche qui si tratta di un enorme salto logico: il fatto che Girolamo abbia visto una copia non significa che tutte le copie della LXX dovessero contenere il Nome Divino! Inoltre, una pagina prima, la stessa Appendice 1a sosteneva che i codici del IV secolo — il Sinaitico e l’Alessandrino — contenevano una versione senza il Nome Divino. Un altro esempio, dunque, di argomentazione “a convenienza” e di travisamento dei fatti da parte della Watchtower.

Il successivo “presupposto” dell’Appendice della del KIT è almeno un po’ più stimolante. Si chiedono: “Gesù seguì la consuetudine del tempo e lesse ‘Adonai’ in quei punti, per timore di profanare il Nome e violare il Terzo Comandamento?” Prima di rispondere, vale la pena notare che qui la Watchtower accenna a un aspetto importante che ha omesso convenientemente: era usanza del tempo non pronunciare né scrivere il Nome Divino. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio ci informa che nel I secolo era “illegale” pronunciare il Nome. Verso la fine del periodo del Secondo Tempio, il Nome Divino era  pronunciato solo una volta all’anno, durante la più solenne liturgia, dal Sommo Sacerdote. Tuttavia, va riconosciuto che l’argomento della Watchtower in questo punto è legittimo, e non si può fornire una risposta definitiva per nessuna delle due posizioni. Ma ciò significa anche che la Watchtower non può affermare con certezza che Gesù non abbia seguito quella consuetudine. Anzi, si può sostenere che l’assenza del Nome Divino nel Nuovo Testamento sia intenzionale per la cristologia del Nuovo testamento. Occorre dire che uno dei versetti più travisati in assoluto dalla società torre di guardia e Romani 10:13 laddove in tutto il contesto si parla della necessità della predicazione intorno a Gesù Cristo perché così ascoltando di lui possano arrivare a invocarlo: il fatto è che poi Paolo parlando della necessità e importanza di invocare il nome del Signore Gesù per la salvezza cita Gioele 2:32 dove nel contesto originario il Signore è “YHWH” ma lo applica a Cristo. Ma la Società continua a dire che il Nome da invocare è “Geova”…
Si può notare che Gesù non pronunciò ad alta voce il Nome Divino, poiché nessuno lo accusò di violare il Terzo Comandamento dopo aver letto il rotolo di Isaia. La Società potrebbe obiettare che Gesù non seguiva le “tradizioni umane”. Tuttavia, non è vero che Gesù rifiutasse tutte le tradizioni: nell’Antico Testamento non esiste alcun comandamento di celebrare la festa di Hanukkah, poiché l’evento che l’ha originata avvenne nel periodo intertestamentario; eppure i Vangeli ci dicono che Gesù partecipò a quella festa. Dunque, anche se l’argomento della Watchtower su questo punto è possibile, non è affatto probabile, perché esiste una controargomentazione altrettanto plausibile….
Dopo aver presentato l’argomento della tradizione, l’Appendice passa al nocciolo della questione: “Il nome di Dio appariva negli originali Scritti Greci Cristiani?” Si rispondono da soli affermando di avere una “base per rispondere di sì.” Poi dichiarano con assoluta sicurezza che Matteo avrebbe scritto per primo il suo Vangelo in ebraico, e che successivamente qualcun altro lo avrebbe tradotto in greco, citando ancora una volta Girolamo come autorità. È tipico della Watchtower fare appello a presunte autorità; ma tali appelli sono selettivi, perché la Watchtower difficilmente accetterebbe la metà di ciò che Girolamo scrisse, pur citandolo qui come “testimone esperto”.
La loro argomentazione in sostanza è la seguente: Matteo “ha fatto più di cento citazioni dalle Scritture ebraiche ispirate.” Poiché il Tetragramma era contenuto nelle Scritture ebraiche, nel momento in cui le citava, sarebbe stato obbligato a includere fedelmente il Tetragramma.”
Ci sono due cose sbagliate in queste due premesse espresse dalla Torre di Guardia. La prima è che, ancora una volta, fanno appello all’autorità di Girolamo, con cui non sarebbero d’accordo riguardo le sue argomentazioni sulla Deità di Gesù e sulla Trinità, e citano come un fatto qualcosa che è più o meno un’opinione di Girolamo. Molti studiosi credono che sia possibile che Matteo sia stato scritto per primo in ebraico, ma ben pochi affermano questa tesi oltre ogni ragionevole dubbio, come la Torre di Guardia deve fare per sostenere il loro caso indiziario. Il secondo punto è che non c'è assolutamente alcuna prova che il Nome Divino fosse presente nelle copie della LXX che Matteo utilizzava.
La premessa finale che l'Appendice 1a espone è un punto sollevato da George Howard riguardo gli scritti pre-cristiani e come lui ritenesse che ciò potesse indicare che gli autografi del Nuovo Testamento contenessero il Nome Divino. Howard esprime questa posizione come una “teoria.” L'Appendice termina con: “Non consideriamo questa visione [di Howard] una ‘teoria,’ ma piuttosto una presentazione dei fatti storici riguardo alla trasmissione dei manoscritti biblici”. E' infatti uno dei suoi dogmi. 

Post di Stefano Greco

domenica 26 ottobre 2025

Quando la guida spirituale smette di essere divina

Questo scritto non intende giudicare, ma stimolare una riflessione profonda: chi guida davvero la nostra fede? È la Scrittura, o sono gli uomini che la interpretano?


Nel corso della storia religiosa, si è spesso assistito a un fenomeno inquietante: l’autorità umana che si sovrappone a quella divina. In molte organizzazioni religiose, le direttive di uomini vengono considerate più vincolanti della Parola di Dio.


Un crescente numero di fedeli, e di osservatori ha evidenziato una crescente discrepanza tra l’autorità biblica e quella esercitata dal Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova. Secondo queste testimonianze, le politiche organizzative vengono spesso anteposte alla Parola di Dio, generando una forma di autorità che, di fatto, supera quella delle Scritture.


Ad esempio viene adottata una cosiddetta “strategia nella guerra teocratica”, applicata sistematicamente e senza restrizioni. Questo approccio ha portato, a una deriva preoccupante: l’autorità di Dio e di Gesù Cristo viene scavalcata, e il numero di espulsioni prive di fondamento biblico è in aumento.


Un numero sempre maggiore di fedeli si ritrova in uno stato di dissonanza cognitiva e crisi di coscienza, che li porta a perdere fiducia non solo nell’organizzazione, ma talvolta anche nella propria fede. Questa condizione è percepita da molti come il cuore del problema spirituale che affligge l’intera struttura organizzativa.


Il paragone storico e religioso


Sebbene i Testimoni di Geova si presentino come distinti dalle religioni tradizionali, un’analisi comparativa rivela sorprendenti somiglianze con la Chiesa Cattolica Romana, l’Islam e i membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, soprattutto riguardo al ruolo predominante dell’autorità umana rispetto alla Parola di Dio. 


Chiesa Cattolica Romana: Il dogma dell’infallibilità papale, proclamato nel 1870, conferisce al pontefice l’autorità suprema in materia di fede e morale. 


In modo analogo, nell’organizzazione dei Testimoni di Geova, tale funzione è esercitata collettivamente dai membri del Corpo Direttivo. Per la maggioranza di questi fedeli, le direttive di questo organo non solo sono vincolanti, ma vengono percepite come superiori alla stessa Bibbia. Questo parallelismo evidenzia come, in entrambi i casi, l’autorità umana possa prevalere sulla Scrittura. 


Islam: I musulmani riconoscono i testi sacri precedenti, ma attribuiscono al Corano, considerato la rivelazione definitiva trasmessa da Maometto, un’autorità superiore. 


Allo stesso modo, i Testimoni di Geova accettano la Bibbia, ma danno priorità agli insegnamenti del Corpo Direttivo, anche quando questi modificano o reinterpretano dottrine precedenti. Tale dinamica richiama l’avvertimento biblico di Rivelazione 22:18-19: “non aggiungere e non togliere dalle parole del libro”, e Malachia 3:6: “Io sono Geova; non cambio”.


Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni: I mormoni utilizzano la Bibbia ma la integrano con altre scritture, come il Libro di Mormon, che considerano un ulteriore testamento divino. La loro dottrina sostiene che Dio continui a rivelare verità attraverso profeti moderni.


Questo concetto trova un parallelo nella “luce progressiva, nuovo intendimento” dei Testimoni di Geova. Entrambe le religioni ammettono modifiche dottrinali nel tempo, giustificate da una presunta rivelazione continua, che di fatto pone l’autorità interpretativa al di sopra del testo biblico.


In sintesi, tutte queste religioni condividono un tratto comune: l’autorità umana sia essa papale, profetica o direttiva tende a imporsi sulla Parola di Dio, ridefinendone il significato e la portata. Questo elemento, spesso trascurato, mette in discussione l’effettiva centralità delle Scritture in ciascuna di queste fedi.


Il sistema di autorità dei Testimoni di Geova


L’organizzazione dei Testimoni di Geova si presenta come fedele alla Bibbia, ma nei fatti mostra una struttura fortemente centralizzata, in cui l’autorità del Corpo Direttivo prevale sulla Scrittura. Questo gruppo, composto da undici membri, gestisce dottrina, beni e finanze, agendo come un governo interno. Le loro direttive sono considerate vincolanti e spesso superiori alla Bibbia stessa.


Definendosi il “canale di Dio”, il Corpo Direttivo afferma che le proprie decisioni siano guidate dallo spirito santo. Questo status rende difficile il confronto critico: chi lo tenta è visto come ribelle o spiritualmente debole. Di conseguenza, l’autonomia del pensiero individuale viene limitata.


Numerose testimonianze interne rivelano:


Ai fedeli non si insegna come pensare, ma cosa pensare. Si pretende obbedienza incondizionata, anche quando le direttive violano apertamente i principi biblici. I fratelli vengono sorvegliati anche in questioni di coscienza, e il Corpo Direttivo non è soggetto a giudizio, nemmeno da parte degli anziani, risultando intoccabile.


Si osserva un evidente culto dell’uomo: il Corpo Direttivo è lodato costantemente con il proprio beneplacito, mentre Cristo è menzionato solo marginalmente. La Bibbia viene sostituita da espressioni come “lo schiavo saggio dice”, oscurando la centralità della Parola di Dio.


Il Corpo Direttivo è venerato dalla quasi totalità dei fedeli, che studiano e seguono il pensiero di uomini, non quello della Scrittura. Lo studio personale della Bibbia è trascurato, e il pensiero critico, come quello dei nobili bereani, è ormai raro. 


Si fa uso di manipolazione mentale attraverso psicologia, propaganda, menzogne e senso di colpa per ottenere conformità. Il dissenso viene punito con l’espulsione e l’ostracismo, alimentando un clima di paura.


Le modifiche dottrinali avvengono spesso solo per pressioni esterne, come l’intervento dello Stato, il calo numerico o interessi economici. I danni causati ai fedeli vengono minimizzati, purché le politiche organizzative siano rispettate. La responsabilità, infine, viene attribuita a Geova.


Il Corpo Direttivo esercita un controllo assoluto su dottrina, beni e finanze, agendo come un governo interno che prende decisioni su questioni fondamentali e regola anche aspetti secondari della vita comunitaria.


In sintesi, queste osservazioni non sono semplici critiche teoriche, ma si basano su testimonianze dirette di fedeli che hanno vissuto dall’interno l’organizzazione. Il quadro che emerge è quello di una organizzazione religiosa che, pur proclamando fedeltà alla Bibbia, ha costruito un sistema in cui l’autorità umana domina sulla Parola di Dio. In questo, i Testimoni di Geova si avvicinano alle dinamiche di altre religioni istituzionalizzate come la Chiesa Cattolica, l’Islam e i Mormoni, dove il pensiero divino viene filtrato, modificato o subordinato al potere umano.


La scelta che ogni credente deve affrontare


Nella vita spirituale di ciascuno di noi arriva il momento in cui bisogna prendere una decisione fondamentale: chi vogliamo servire davvero? Questa scelta non è teorica, ma concreta, quotidiana, e definisce il nostro cammino di fede.


Giosuè, alla fine della sua vita, pose questa domanda al popolo d’Israele, invitandolo a scegliere con chiarezza e determinazione. Le sue parole risuonano ancora oggi con forza: “E se vi sembra sbagliato servire Geova, scegliete oggi chi volete servire... Ma quanto a me e alla mia casa, serviremo Geova.” Giosuè 24:15 


Allo stesso modo, chi ha deciso di cuore di seguire Gesù Cristo come unico Signore e guida, dovrà inevitabilmente affrontare una scelta: seguire gli uomini, un’organizzazione religiosa, oppure Cristo stesso. Non si tratta di ribellione, ma di fedeltà. Gesù disse: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” Giovanni 14:6


La Scrittura ci offre esempi chiari di uomini che, di fronte a ordini ingiusti, scelsero di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Quando il re Saul ordinò ai suoi servitori di uccidere i sacerdoti di Geova, essi rifiutarono, riconoscendo l’autorità divina sopra quella umana. Ma Doeg l’edomita, ignorando la santità di quel comando, eseguì l’ordine e spargendo sangue innocente, si rese colpevole davanti a Dio (1 Samuele 22:17-18). 


Questo episodio ci ricorda che l’obbedienza cieca all’uomo può portarci lontano da Dio, mentre la fedeltà alla Sua Parola ci preserva. Come disse Pietro davanti al Sinedrio: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini.” Atti 5:29 


Fedeltà a Cristo anche in mezzo all’incertezza


Ci sono non poche ragioni per cui un Testimone di Geova, pur avendo compreso che la vera guida spirituale è solo Gesù Cristo, non esce formalmente dall’organizzazione. Le circostanze personali, familiari, sociali o emotive possono rendere questa scelta complessa e delicata. Tuttavia, ciò che conta davvero è la decisione del cuore: non accogliere più dottrine, comandi o istruzioni che non siano basate sulla Parola di Dio, e soprattutto non trasmetterle ad altri.


Questo atteggiamento interiore è una forma di fedeltà silenziosa ma profonda, che Dio vede e approva. È simile alla posizione di Naaman, comandante dell’esercito siriano, che dopo essere stato guarito riconobbe il vero Dio e chiese al profeta Eliseo di intercedere per lui, affinché fosse perdonato quando, per obbligo di ruolo, doveva accompagnare il suo re nel tempio idolatrico e inchinarsi con lui: “In questo il Signore perdoni il tuo servo: quando il mio signore entra nella casa di Rimmon per prostrarsi là, e si appoggia al mio braccio, anch’io mi prostrerò nella casa di Rimmon. Il Signore perdoni il tuo servo in questa cosa.” 2 Re 5:18


Eliseo non lo condannò, ma gli disse semplicemente: “Va’ in pace.” (2 Re 5:19). Questo ci insegna che Dio guarda al cuore, e che la fedeltà non si misura solo con gesti esteriori, ma con la sincerità della coscienza.


In questo spirito, chi ha compreso che Cristo è l’unico mediatore e guida deve vigilare su ciò che insegna e con quale spirito lo fa. La Scrittura è chiara: “Se qualcuno parla, lo faccia come si fa con i sacri oracoli di Dio.” 1 Pietro 4:11 


Questo significa che ogni insegnamento deve riflettere la purezza, l’autorità e la verità della Parola di Dio, non le opinioni o le direttive di uomini. È una responsabilità sacra, che chiunque desideri servire Cristo deve assumere con umiltà e discernimento. Gesù stesso disse: “Chi mi ama, osserverà la mia parola.” Giovanni 14:23 E ancora: “Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli.” Giovanni 8:31


In sintesi, chi ha compreso che Cristo è l’unico mediatore e guida non deve necessariamente dimostrare la sua fedeltà con gesti pubblici o formali, ma con una scelta interiore profonda: non accogliere più insegnamenti che contraddicono le Scritture, e non trasmetterli ad altri. È questa la vera libertà spirituale, quella che nasce dal cuore e che Dio approva.


La Rivoluzione della Fede


La vera rivoluzione non avviene fuori, ma dentro di noi quando scegliamo di ancorare la nostra fede alla Parola di Dio, riconoscendola come l’unica autorità suprema e cercando la Sua guida con sincerità. Questa trasformazione interiore si manifesta nel cuore di ogni credente che riconosce in Gesù Cristo il solo Capo e guida, rendendo superflua qualsiasi organizzazione umana che pretenda di frapporsi tra noi e Lui.


Chi sceglie di seguire Cristo non conosce delusione, ma sperimenta una crescita costante in pace, serenità e libertà autentica. La vera guida spirituale non si impone con autorità umana, ma si manifesta nella libertà che Cristo offre. Egli non ci costringe, ma ci invita a seguirlo con amore e discernimento. E chi lo segue, non sarà mai deluso: Giovanni 5:24 “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna.”


Post de “il resiliente”