In questo post mettiamo a confronto un opera teatrale "Aspettando Godot" di Samuel Beckett e le aspettative escatologiche dei Testimoni di Geova. Nel capolavoro del teatro dell’assurdo narra l'attesa indefinita di due personaggi, Vladimir ed Estragone, che aspettano l'arrivo di un certo Godot sotto un albero. Nonostante Godot non si presenti mai, i due continuano ad aspettare, interagendo con altri personaggi come Pozzo e Lucky, e con un ragazzo che porta loro notizie di Godot, senza mai fornire risposte chiare. L'opera è caratterizzata da un senso di stasi, ripetizione e incertezza, riflettendo l'assurdità dell'esistenza umana. Non sanno chi stanno aspettando con certezza, né se arriverà. Ma non possono andarsene, perché “potrebbe arrivare domani”.
Questa metafora dell’attesa infinita, evidentemente senza senso, riecheggia inquietante nella storia moderna di una realtà molto concreta: i Testimoni di Geova. Da oltre 150 anni, milioni di fedeli vivono nella convinzione che la fine del mondo sia imminente. Ogni generazione crede che sarà la propria a “vedere la fine”. Ma, come in Beckett, Godot non arriva mai.
L’attesa programmata: 1874, 1914, 1925, 1975…
I Testimoni di Geova, guidati dal loro Corpo Direttivo, hanno costruito gran parte della loro identità sull’annuncio della “fine del sistema di cose”. Una fine profetizzata con date specifiche proclamate in più occasioni:
• 1874: il ritorno invisibile di Cristo
• 1914: inizio degli “ultimi giorni”
• 1925: risurrezione di Abramo, Isacco e Giacobbe
• 1975: fine del 6.000° anno della storia umana, probabile data dell’Armageddon
Ogni volta che l’evento non si verifica, l’interpretazione viene corretta, spiegata meglio, “nuovamente illuminata”. Ma la sostanza resta immobile: si attende sempre qualcosa che deve avvenire, ma non accade mai.
L’inganno psicologico: senso, colpa e speranza
Nella commedia di Beckett, i protagonisti non riescono a smettere di aspettare. Si intrattengono con conversazioni ripetitive, giochi mentali, promesse. Ma sono inchiodati da un unico pensiero: “non possiamo andarcene, potremmo perdere l’occasione”.
Allo stesso modo, per molti Testimoni, lasciare l’organizzazione è impensabile. L’attesa della fine è il centro dell’identità. Rinunciare significherebbe perdere la salvezza o come abbiamo capito attendere la salvezza. Così si continua a predicare, studiare, riunirsi… nonostante l’assenza di riscontri reali.
La stessa Torre di Guardia nel 1968 scriveva:
“Non ci resta molto tempo. È molto improbabile che Dio permetta che il 1975 passi senza far avverare la sua promessa.”
Nel 1980, dopo il mancato Armageddon, arrivò il capovolgimento: “Il problema non fu la cronologia biblica, ma le aspettative errate dei fratelli.” In altre parole: la colpa non è del messaggio, ma del credente che lo ha interpretato con troppa fiducia.
Il tempo che non scorre
Beckett costruisce una narrazione in cui il tempo è circolare. Il secondo atto è quasi identico al primo. Si parla, si attende, ma nulla cambia. È una forma di paralisi esistenziale ciclica in un ripetersi continuo di situazioni eventi che hanno lo scopo specifico di rimanere lì dove sono. Per i Testimoni di Geova, ogni nuova generazione è istruita ad attendere come se la fine fosse alle porte. Studi universitari scoraggiati, carriere sacrificate, decisioni familiari sospese sono le tecniche manipolatorie per impedire che lo sguardo venga distratto da l’unico scopo che sostiene gli intenti comuni l’attesa. Il tempo si consuma nel prepararsi a qualcosa che non ha una data, ma che deve sempre essere “molto vicino”. Questo crea una struttura di controllo: chi si ferma, chi pensa, chi mette in dubbio… è in pericolo. L’attesa non è solo passiva: è un sistema che assorbe completamente la vita.
Il Dio che non arriva
Beckett non dice mai esplicitamente che Godot è Dio. Ma il gioco di parole è chiaro. Godot è l’assoluto, l’oggetto della fede. Ma è anche la negazione dell’evento: la rappresentazione di ciò che è sempre promesso e mai dato. Nel mondo dei Testimoni di Geova, l’Armageddon funziona nello stesso modo. È un evento spirituale assoluto, promesso dal Corpo Direttivo come certo, imminente, garantito. Ma quando non arriva, diventa interpretazione, metafora, attesa spirituale. E nel frattempo, la vita – reale – passa.
Smettere di aspettare
“Aspettando Godot” non offre una soluzione. Ma ci mostra una cosa: a volte, la speranza cieca diventa una trappola. L’attesa religiosa, quando basata su promesse non mantenute, può trasformarsi in uno strumento di controllo. La storia dei Testimoni di Geova ci mostra come una comunità può vivere per decenni nell’illusione di una salvezza sempre a un passo… ma mai abbastanza vicina da concretizzarsi.
Nel finale della commedia, Vladimiro dice:
“Andiamo.”
Estragone risponde:
“Sì, andiamo.”
Eppure non si muovono.
Lì sta il dramma. E anche la scelta. L’unico modo per liberarsi da una promessa mai mantenuta… è smettere di aspettare.
Post del Divergente